“Gente ordinaria e gente comune, gente che batte le strade provinciali e quelle comunali, gente che fa, gente che produce, gente sottoccupata, gente incantata, gente improduttiva, gente selvatica, gente morbida, gente ubriacona, vecchia gente senza passato, giovane gente senza avvenire”. Questa frase di Pier Vittorio Tondelli, riportata da Paolo Di Paolo nel ricordare lo scrittore ucciso dall’Aids a 36 anni, il 16 dicembre 1991, dà il senso di un fluire ininterrotto, al di fuori del tempo. Un vagare alla ricerca di qualcosa che nemmeno si sa bene cosa sia.
“La gente mormora”, diceva Tina Pica. Ma questo mormorio viene portato lontano dal vento dell’indifferenza. Flussi di parole. Discorsi indistinti. Nelle scale dei condomìni, lungo i marciapiedi, nei locali, sugli autobus, nei centri commerciali, al supermercato. Persone che discutono con qualcun altro o gridano nel telefonino. Persone accalorate, appassionate, preoccupate, curiose, pettegole, arrabbiate, frettolose, innamorate. Persone gelose, deluse, disperate, imperiose, allegre, tristi, ottimiste, confuse.
Una sinfonia di sentimenti e di stati d’animo. Però nessuno ascolta davvero. Moltitudine vociante e sorda. Alcuni parlano con sé stessi, senza conoscersi bene. La ricerca dell’identità, lungo la quale si era incamminato Tondelli durante gli illusori anni Ottanta con creativo e ribelle anticonformismo, è una strada accidentata, piena di trabocchetti. L’alienazione, esasperata a dismisura da quel grande acceleratore che è la pandemia, rappresenta la trappola principale, un immenso buco nero che inghiotte ogni soggettività. “Alla prossima reincarnazione vorrei diventare un sasso”, afferma sconsolato il ridicolo omarino disegnato da Altan. Il sasso, ultimo stadio dell’incomunicabilità.
Mamadou, 27 anni, che il flusso insensato della vita ha trascinato dalla Guinea a Roma, è morto di freddo sotto un porticato di piazza dei Cinquecento. Lo hanno trovato così, stecchito, in mezzo ai cartoni con i quali cercava di proteggersi. Un rifiuto cencioso. Uno scarto.
Marco Armiero, ricercatore e docente presso varie università internazionali, ha coniato un nuovo termine per definire l’attuale era della spazzatura. Se l’Antropocene mette al centro la manipolazione della natura da parte dell’uomo e il Capitolocene evidenzia il meccanismo economico, ecco il Wasteocene, la discarica globale.
Qui non si tratta solo dei danni ambientali, dell’inquinamento, delle emissioni nocive, del buco nell’ozono, della produzione, raccolta e smaltimento di immondizia, ma di un vero e proprio assetto funzionale alla costruzione di barriere materiali e psicologiche e alla divisione in caste. I mendicanti, i poveri, gli immigrati, i subalterni sono impuri, contagiosi per il corpo e per l’anima. Sacchi della spazzatura.
“Scartare – teorizza Armiero nel libro che ha scritto per Einaudi – è un processo sociale tramite il quale le ingiustizie di classe, etnia e genere vengono incorporate nel metabolismo socio-ecologico che produce tanto i giardini quanto le discariche, corpi sani e corpi malati, luoghi puri e luoghi contaminati”.
L’immagine del Titanic che affonda è quanto mai valida: chi sta nei ponti alti della nave (l’Occidente opulento) ha maggiori probabilità di sfuggire alle ondate del Coronavirus di coloro (i Paesi sottosviluppati) che languono nella stiva. Ma più quelli che stanno sotto si infettano, più forza attinge la tempesta ritornando ad infuriare in coperta con tutte le possibili varianti. I cittadini delle nazioni più industrializzate sono vaccinati al 66 per cento, gli africani non superano il sette.
La risposta non può essere affidata solo alla scienza, la politica ha il dovere di prendere il timone per evitare che tutto si infranga contro l’iceberg delle ingiustizie, dei profitti, delle storture. La navigazione deve cambiare completamente rotta, non basta il piccolo cabotaggio.
Il mormorio del Wasteocene va raccolto prima della globale pietrificazione. Urgono scelte radicali che disarmino anche il pericolo xenofobo e negazionista. “Il nostro mondo si trova di fronte ad una crisi di cui ancora non si rendono ben conto coloro che hanno il potere di prendere decisioni”, sosteneva Albert Einstein, invocando “un nuovo tipo di pensiero, se l’umanità deve sopravvivere”. Era l’alba del terrore nucleare. Oggi non va meglio.
Marco Cianca
Post Scriptum: lo spettacolo repulsivo dei piccoli, ridicoli, furbastri politici italiani che tramano per l’elezione del nuovo capo dello stato senza alcuno sguardo sul futuro, non fa ben sperare. Fossero loro i veri scarti?