Dopo il virus, un mondo nuovo? Nell’aprile del 2020, in piena pandemia, la rivista MicroMega poneva questa domanda sulla copertina di un numero tutto dedicato agli effetti futuri del Coronavirus. Ora che l’Oms si appresta a sancire la fine dell’emergenza degradando il Covid-19 a endemico virus influenzale, rileggere quelle pagine fa sorridere amaramente. Anzi, mette i brividi. Perché gli auspici e gli ammonimenti appaiono scritti sulla sabbia. Un cospicuo sforzo teorico sepolto dalla realtà attuale.
Tra i saggi contenuti nel volume, anche uno scritto per rimettere in discussione il concetto complessivo di mobilità, dalla bicicletta allo smart working. In ogni caso, rimarcava Marco Ponti, esperto del tema, “appare del tutto insensato continuare a scommettere sulla politica delle grandi opere”. Parole al vento. Ecco di nuovo, beffardo e rutilante, il faraonico progetto del ponte sullo Stretto.
Il sognato mondo nuovo va ad allungare l’elenco delle impossibili utopie. Siamo tornati a quello vecchio, imbruttito e incattivito. La stagione dei buoni propositi è durata il tempo dell’emergenza, spazzata via da una collettiva opera di rimozione. Gli ospedali sono di nuovo abbandonati a se stessì e la sanità pubblica resta affidata solo alla buona volontà di medici e infermieri.
L’igienista Per Luigi Lopalco sperava che “i nostri governanti siano capaci di cogliere questa occasione per mettere a punto una rete territoriale capace di intercettare e bloccare per tempo le nuovo catene di contagio”. La sbandierata autonomia differenziata va in senso totalmente opposto.
D’altro canto, a Palazzo Chigi ci sono quelli che strizzavano l’occhio ai negazionisti e contestavano la validità dei vaccini. Per chi ha ancora negli occhi i lugubri cortei dei camion militari carichi di bare o ha perso parenti e amici nell’inferno dei pronto soccorso senza nemmeno il conforto di una carezza, sentire la becera propaganda nazionalista di coloro che volevano aprire tutto aggiunge la rabbia al dolore.
Gli psicologi invitavano a “non avere paura della paura”. Ma, al contrario, sono in atto la rimozione di ogni sensata consapevolezza e la regressione ad uno stato di infantilismo sociale. Ecco che la torsione decisionista della Destra trova un terreno fertile in chi vorrebbe essere preso per mano e protetto dai nemici, presunti o creati ad arte, e dai pericoli incombenti. Il progetto del presidenzialismo si muove in questa paranoica irrazionalità.
Il prolungato lockdown invece di interiorizzare il rispetto delle regole ha inoculato il germe dell’autoritarismo. La storica Giovanna Procacci, in quel tremendo aprile, metteva in guardi dalla tentazione di cercare sicurezza in un esecutivo forte: “La speranza è che la sorte dei cittadini non sia quella della rana di Chomsky che, se messa nell’acqua bollente di botto, schizza fuori e si salva, ma se introdotta nell’acqua quando essa è tiepida (per il suo bene…), poi caldina (sempre per il suo bene) e infine caldissima, non ce la fa più a saltare fuori e muore cotta”.
Non per niente due psicoanalisti come Marco Francesconi e Daniela Scotto Di Fasano citavano Freud e la tendenza “a barattare un po’ di libertà e in cambio di un po’ di sicurezza”. I diritti come merce. Un ignobile, quotidiano, commercio.
Sempre in quel numero di MicroMega, Telmo Pievani e Jared Diamond si confrontavano sul rischio di una nuova, ancor più devastante pandemia, The Big One. Il biologo statunitense si diceva ottimista: “Non abbiamo ancora sconfitto il virus ma è questione di uno o due anni, con i vaccini riusciremo a debellarlo. Spero che allora continueremo a lottare tutti assieme contro il cambiamento climatico e a combattere le disuguaglianze e lo sfruttamento delle risorse. Ci servirà uno sforzo globale, paragonabile a quell’impegno mondiale che ci permetterà di sconfiggere questo virus”.
Aveva ragione sull’esito della battaglia allora in corso ma si illudeva sulla capacità umana di apprendere la lezione.
Marco Cianca