Seppure osteggiata e messa in discussione dalle frange più conservatrici dei policy makers, la transizione energetica è un passaggio non più eludibile per la salvaguardia del pianeta e del benessere delle generazioni future. Un’urgenza proiettata sul lungo termine, ma che per la sua attuazione è totalmente radicata nel presente. La mistificazione di questi argomenti è enorme e la confusione sembra l’unica traiettoria che si sta cercando di perseguire per prendere (e perdere) tempo. Ma occorre fare bene e in fretta se si vogliono scongiurare danni irreparabili, molti dei quali – purtroppo – sono stati già compiuti. Proclami e dichiarazioni non sono più sufficienti: serve lungimiranza e prospettiva per l’interesse collettivo e il coinvolgimento di tutti gli stakeholders.
A partire dal mondo del lavoro e della formazione, perché transizione energetica significa anche transizione lavorativa e qualificazione/riqualificazione di lavoratori adatti ai nuovi scenari industriali. A livello mondiale, infatti, sarà necessario investire nella formazione di personale qualificato per un numero stimato di 100 milioni di nuovi posti di lavoro, che dovrebbero nascere dall’adozione di pratiche sostenibili, dalla crescita dell’utilizzo di veicoli elettrici e dall’aumento dell’efficienza energetica. In una prospettiva green, si prevede che l’occupazione nei settori ad alta intensità di risorse naturali e basati sui combustibili fossili diminuirà notevolmente, con una perdita stimata di 78 milioni posti di lavoro. Riqualificare questi lavoratori, quindi, sarà essenziale per ridurre i costi sociali della transizione verde in termini di disoccupazione, comportamenti a rischio e tensioni sociali. Nonostante ciò, le aziende non sembrano particolarmente attive nella ricerca di nuovo personale a causa (nell’84% dei casi) della mancanza di fondi e incentivi.
È quanto emerge dalla survey presentata lo scorso 20 settembre in occasione di “The Green Job. Dal tech ai RAEE: le nuove competenze del mercato del lavoro”, l’evento di chiusura del progetto “Training for Circularity. Borse di Studio (WEEE Edition)”, promosso da Erion WEEE, EconomiaCircolare.com, ENEA, CDCA e patrocinato dalla Città Metropolitana di Roma. Obiettivo dell’iniziativa è dare una risposta concreta al passaggio dall’economia lineare a quella circolare attraverso il coinvolgimento dei 10 borsisti di “Training for Circularity”, il progetto di formazione-lavoro che nell’ultimo anno ha permesso ai giovani laureati e neolaureati di acquisire competenze nel campo dell’economia circolare, con specifico riferimento al settore dei RAEE: dallo studio dell’ecodesign allo sviluppo di strumenti eco-innovativi per il trattamento di questi rifiuti, fino alle strategie di comunicazione, marketing e fundraising per la sostenibilità. “Una sfida culturale”, come afferma Giorgio Arienti, Direttore Generale di Erion WEEE “che potrà essere affrontata solo attraverso un impegno concreto sul fronte dell’informazione e della formazione. Per questo motivo, investire sui giovani risulta la strategia più efficace per promuovere un cambiamento concreto”.
In questo senso la ricerca “Green job revolution: How C40 cities are leading the way” – realizzata da C40, la rete globale dei sindaci delle più grandi città del mondo impegnate nella lotta la cambiamento climatico, e dalla Circle Economy Foundation – è fondamentale. Il catalizzatore di questa ricerca ha avuto origine nel 2022 al World Mayors Summit di Buenos Aires, quando il co-presidente di C40 e sindaco di Londra, Sadiq Khan, ha esortato i sindaci di C40 a promuovere la creazione di 50 milioni di buoni posti di lavoro “green” entro il 2030 nelle più grandi città di tutto il mondo, in collaborazione con tutti i livelli di governo, imprese e sindacati.
A livello globale, la ricerca stima che quasi 16 milioni di posti di lavoro già supportano la transizione verso un’economia verde nelle 74 città studiate e dimostra che i settori con le migliori performance sono quelli di trasporti pubblici, gestione dei rifiuti, elettricità e costruzioni. I governi locali svolgono un ruolo chiave nel supporto a regolamenti, standard e collaborazione con l’industria. Ad esempio, quasi il 30% dei lavori nei settori dell’elettricità e dei trasporti è attualmente “green”, e il 25% nei settori dell’edilizia e delle costruzioni.
Quanto allo scenario europeo, nelle città del vecchio continente appartenenti al C40 (Amsterdam, Atene, Barcellona, Berlino, Copenhagen, Heidelberg, Istanbul, Lisbona, Londra, Madrid, Milano, Oslo, Parigi, Roma, Rotterdam, Stoccolma, Varsavia e Tel-Aviv), circa l’8% dei posti di lavoro può essere considerato green, il che significa 2,3 milioni su un totale approssimativo di 30,5 milioni di posti di lavoro che esistono all’interno delle 18 città. Circa 1,3 milioni (4,4%) sono considerati posti di lavoro green diretti, operanti cioè in un settore verde come l’energia rinnovabile, la raccolta dei rifiuti o la riparazione, mentre 968.800 (3,2%) sono considerati indirettamente green, fornendo i beni e i servizi necessari affinché i settori verdi possano operare.
L’occupazione green varia a seconda delle città, oscillando tra il 3,2% e il 13,5% dell’occupazione green totale. A Milano, per esempio, il settore della moda sostenibile è in grande crescita, così come a Londra la finanza è un settore critico. C’è ancora un grande potenziale per rendere più verdi tutti i settori e i servizi urbani, nonostante ogni città abbia un profilo settoriale, occupazionale e una capacità d’azione pubblica unica nel campo delle politiche del lavoro.
I settori con la più alta quota di occupazione verde (oltre il 20% del totale nel settore) sono l’elettricità, il vapore e la fornitura di aria condizionata, oltre alla fornitura d’acqua, fognature, gestione dei rifiuti e attività di risanamento, seguiti dalle costruzioni (18%). Con circa 4 milioni di posti di lavoro, il commercio è uno dei principali datori di lavoro nelle città europee del C40, ma solo il 6,5% di questi posti di lavoro è attualmente verde.
Ma, come sottolineato da più parti, sono gli investimenti nella formazione delle competenze a fare da volano per il lancio di questa nuova visione del lavoro e per garantire che i lavoratori siano dotati delle competenze trasferibili necessarie per realizzare la transizione energetica al ritmo rapido richiesto.
Inoltre, le città devono garantire che lo sviluppo della forza lavoro sia diversificato e realizzato in modo tale da garantire un accesso equo e affrontare le disparità salariali e di leadership per i gruppi vulnerabili e storicamente marginalizzati – tra gli altri: donne, giovani, persone con disabilità, BIPOC (Black, Indigenous and People of Colour).
Gli investimenti per il clima non solo creano più posti di lavoro, ma possono anche guidare un cambiamento trasformativo ben oltre i confini urbani attraverso le catene di approvvigionamento delle città.
Sebbene nuovi posti di lavoro possano e saranno creati grazie alla transizione ecologica dei settori chiave e all’abbandono dei combustibili fossili, è fondamentale che le città garantiscano anche una transizione giusta per coloro che sono colpiti dal processo di eliminazione. La transizione deve essere pianificata in modo deliberato e ben coordinato attraverso politiche e una governance partecipativa, per garantire che coloro che sono maggiormente colpiti abbiano accesso a posti di lavoro verdi di qualità. Anche in questo caso gli investimenti nella formazione saranno cruciali. Queste azioni devono essere integrate da misure di protezione sociale per salvaguardare le persone dagli impatti negativi della transizione. Le città dovrebbero inoltre sostenere le comunità e gli individui nell’affrontare le loro carriere e culture in evoluzione, riconoscendo l’importanza del patrimonio industriale.
Elettra Raffaela Melucci