Il paese trattiene il fiato attendendo il risultato del referendum costituzionale che si tiene domenica. Previsioni, meglio evitare, dopo le brutte figure fatte da fior di analisti di tutto il mondo in occasione di Brexit e dell’elezione di Trump. E’ certo, comunque, che per il mondo del lavoro le conseguenze saranno molto forti, perché è in gioco il governo e la governabilità del paese. Tra due giorni sapremo che fine faremo, preoccuparsi in anticipo è soprattutto inutile.
Ma al di là dell’evento referendum, avvenimento pure in sé così determinante, c’è da dire che siamo in un momento di grande effervescenza per il mondo del lavoro e le relazioni industriali in genere. Nel giro di pochi giorni sono stati raggiunti tanti accordi, e tutti di estrema rilevanza. L’ultimo è quello per l’avvio dei contratti del pubblico impiego, un grande successo dopo sette anni di astinenza. Ma pochi giorni prima era arrivata l’intesa per il rinnovo (e davvero è stato un rinnovamento) del contratto dei metalmeccanici, che a sua volta era giunto subito dopo gli accordi di Cgil, Cisl e Uil con il mondo artigiano e con la Confcommercio sulle regole della contrattazione.
La prima conseguenza che se ne può trarre è che i corpi intermedi, come si diceva una volta, sono vivi e lottano assieme a noi. Si può pensare che l’accordo per il pubblico impiego sia frutto di un calcolo politico, come la ripresa della concertazione, forte in questi mesi, e ci sarebbe da discuterne; ma gli altri accordi sono frutti dell’azione, positiva, delle parti sociali, che hanno mostrato di avere consistenza al di là di quanto pensavano i loro detrattori, quelli che credevano fossero solo strutture del passato, ormai superate.
Invece queste intese hanno mostrato il contrario e soprattutto nel merito hanno dato un segno forte di capacità innovativa. Lo abbiamo detto anche la settimana scorsa, il fatto che le associazioni degli artigiani abbiano raggiunto un accordo così importante, che regola l’insieme della contrattazione negli anni a venire, senza attendere il la dalla Confindustria, è una cosa che solo qualche anno fa era davvero impensabile. E il fatto che queste stesse associazioni preferiscano parlare di piccole imprese più che solo di artigiani, e che pensino di allargare la loro contrattazione anche al livello di impresa, tutto ciò significa davvero che la voglia di cambiare è forte e radicata.
Lo stesso si può dire per il contratto dei metalmeccanici. Che può piacere o non piacere – e al di là delle dichiarazioni ufficiali, tutte entusiastiche, i giudizi espressi in sedi riservate divergono – ma certamente l’innovazione anche qui è stata forte. E’ cambiato il sistema di difesa del potere di acquisto dei salari, che non si basa più su scommesse ex ante, ma su verifiche ex post. Ed è cambiato il rapporto con il welfare contrattuale, che diventa l’asse portante delle conquiste contrattuali.
Ma saranno queste innovazioni l’ossatura del negoziato che la settimana prossima, il 7 dicembre, prenderà il via fra le tre confederazioni sindacali e la Confindustria? Il modello è esportabile? Al di là dei giudizi, che appunto sono vari, c’è da dire che il mondo confindustriale è molto variegato, come dimostrano del resto le estreme differenze tra le diverse soluzioni contrattuali scelte dai contratti già rinnovati. E’ difficile dunque che uno solo di questi venga preso a modello, anche se si tratta del più blasonato dei contratti. E poi Vincenzo Boccia, il presidente di Confindustria, deve fare i conti con la divisione che ha accompagnato la sua elezione, quando i grandi elettori si divisero appunto a metà: una differenza che non è sparita, e peserà notevolmente nelle prossime scelte. L’unica cosa che unisce tutta la Confindustria è l’attenzione a Industry 4.0, perché questo è il futuro, si spera molto prossimo, la frontiera dove potrebbe essere possibile un vero salto di qualità, capace in quanto tale da agire da schiacciasassi nei confronti di queste divisioni, in fin dei conti specchio più del passato che del futuro.
Ma il prossimo negoziato con la Confindustria potrebbe e dovrebbe essere anche il teatro per una generale riconsiderazione del futuro del ricorso al welfare contrattuale. Che, come ha descritto Maurizio Ricci in un bell’articolo pubblicato da Il diario del lavoro, segna in qualche modo la presa d’atto che è per sempre svanito il sogno degli anni Settanta, quando si credeva che sarebbe stato possibile avere la scuola per tutti, la previdenza per tutti, la sanità per tutti. Un sogno, appunto, purtroppo svanito sotto i colpi d’ariete che le sono stati sferrati dalla congiuntura negativa, ma assolutamente non solo. I metalmeccanici hanno preso atto di questo fallimento e sono corsi ai ripari, rincorrendo la sanità e la previdenza integrativa, assicurando alla loro categoria un diritto individuale alla formazione. Sullo stesso argomento ha scritto anche lo storico Giuseppe Berta, spiegando le ragioni di questi cambiamenti. Ma saranno le parti sociali con i loro accordi, con le regole che si daranno, a spiegare se e come e perché è forse ancora possibile rincorrere quel lontano sogno. Resta che il welfare contrattuale e’ destinato ad avere un posto centrale nelle future relazioni industriali; per questo, il Diario del lavoro ha deciso di avviare un serio approfondimento del tema, che potrete seguire sulle nostre pagine fin dalle prossime settimane.
Massimo Mascini