Il mistero della stupidità umana. L’unico che Karl Marx ammetteva di non riuscire a risolvere. In particolare, si riferiva alle accuse mosse a lui e alla Prima Internazionale per il coinvolgimento nella Comune di Parigi. Il quotidiano newyorkese The Word, proprietario Joseph Pulitzer, aveva incaricato il proprio corrispondente a Londra, R. Landor, di contestargli proprio queste presunte responsabilità. “L’insurrezione è stata fatta dai lavoratori”, rispose con fermezza, negando l’esistenza di una qualsivoglia associazione segreta: “Il nostro regolamento è in vendita al costo di un penny, e spendendo uno scellino si compra un opuscolo che le spiegherà sul nostro conto tanto quanto ne sappiamo noi stessi”.
L’intervista fu pubblicata il 18 luglio 1871. Il cronista non nascondeva l’emozionata curiosità nel trovarsi “faccia a faccia con la rivoluzione in carne ed ossa” e ne rimarcava il fascino: “Un sognatore che pensa, un pensatore che sogna”. Fino al paragone, fisico ed esistenziale, con Socrate, “l’uomo che preferì morire piuttosto che professare la fede negli dèi dell’epoca”.
“Aveva ragione Marx?”, chiede ora Der Spiegel con una recente copertina sulla quale il barbuto e sorridente filosofo di Treviri indossa una camicia verde e ostenta gli avambracci tutti tatuati. Già nel gennaio 2017, il settimanale Zeit aveva posto un quesito analogo, cercando di capire “cosa possiamo imparare da lui”. Ancora prima, nel 2012, John Lancaster riconosceva dalle pagine della London Review of Books, che “Marx non aveva tutti i torti”.
Ma stavolta la novità è l’aura ambientalista nella quale viene avvolto l’autore dei Grundrisse. Un fenomeno codificato dal giapponese Kohei Sato, che usa gli strumenti del materialismo storico per spiegare il collasso climatico e prospettare soluzioni in chiave di decrescita e di ridistribuzione della ricchezza.
Il professore nipponico riscuote grande successo, specie tra i giovani (circola anche una versione manga del Capitale). Ma è giusta questa rilettura ecologista, tutto sommato soft, di colui che partorì il Manifesto del partito comunista? O è lo stesso consumismo a reinterpretare, rendendole alla moda, e a rivendere le tesi del suo peggior nemico, guadagnandoci e utilizzandole nel contempo quali anticorpi per la propria sopravvivenza?
Forse Marx riterrebbe corretta la seconda ipotesi, eppure il dibattito si sta ampliando. Con al centro le analisi sul processo produttivo, messo ai margini, come rimarcava a suo tempo Maurice Dobb, dalle moderne teorie economiche che hanno concentrato la loro attenzione sulle modalità di scambio e distribuzione, vale a dire sul mercato e il suo equilibrio. Relegando gli effetti nefasti, in termini di diseguaglianze e di distruzione della natura, nella categoria dei fattori sociologici. “Il feticismo della merce”, lo sfruttamento, il plusvalore, i profitti, la reificazione sono concetti riammessi nella pubblica agorà.
Il vertiginoso distacco tra chi possiede troppo e chi non ha nulla fa tornare alla luce frasi che sembravano sepolte: “Voi inorridite perché noi vogliamo eliminare la proprietà privata. Ma nella vostra società la proprietà privata è già abolita per i nove decimi dei suoi membri”. E rispetto al ruolo delle tecnologie, alla dittatura degli algoritmi, all’intelligenza artificiale, ai nuovi sconvolgenti strumenti digitali come ChapGPT, andrebbe ricordata questa profezia: “Le macchine non intervengono a sostituire la forza lavoro mancante, ma per ridurre quella esistente”. E, a proposito di inquinamento: “Persino l’aria che si respira ti rende schiavo”.
Chiosava Franz Mehring: “In base a tutto l’atteggiamento mentale di Marx, il suo Capitale non è una Bibbia contenente verità immutabili e definitive, ma piuttosto una fonte inesauribile di incitamento per lo studio ulteriore, per ulteriori ricerche scientifiche e ulteriori lotte per la verità”.
D’altronde, diceva il Nostro, “essere radicale vuol dire cogliere le cose alla radice”.
Resta insoluto il mistero della stupidità umana.
A proposito, per evitare indebite appropriazioni da parte dell’ineffabile ministro della Cultura, lo avvertiamo che Marx era di sinistra. E anche Socrate.
Marco Cianca