Il gatto di Schroedinger è l’iconico paradosso della meccanica quantistica, per cui il gatto chiuso in uno scatolone è contemporaneamente vivo e morto. Tralasciando la spiegazione che, del paradosso, dà la fisica delle particelle subatomiche, l’idea della compresenza di una cosa e del suo contrario è stata rilanciata in una gustosa vignetta su Twitter che raffigura l’immigrato di Schroedinger: da un lato, pigro e inoperoso, succhia tutto il welfare; dall’altro, in qualche modo, riesce ad occupare tutti i posti di lavoro.
Il dibattito sull’immigrazione, in Italia e altrove, non riesce ad uscire da questo paradossale girotondo e a mettere insieme una politica di gestione dei flussi di migranti. Eppure, i dati non lasciano molti dubbi. Fra quindici anni, calcola la Banca d’Italia, ci saranno 6 milioni di italiani in meno di oggi in età di lavoro. Quindi, visto che, attualmente, gli italiani in età di lavoro sono circa 24 milioni, nel 2040 ci sarà un quarto di persone in meno a produrre beni e servizi. E, se il parametro che ci interessa è il Pil (cioè la somma di beni e servizi prodotti in un anno), quel Pil sarà disastrosamente più basso, perché c’è meno gente a produrre. Ma la tecnologia non può sostituire quei lavoratori che mancano? Forse, ammesso che convenga, perché il disastro è doppio. Sei milioni di lavoratori in meno, considerate le famiglie, significano anche almeno una decina di milioni di consumatori in meno, ovvero una domanda di beni e servizi più bassa di almeno un quinto, sui 50 milioni di italiani attuali. Produrremo di meno e consumeremo di meno, in un precario equilibrio al ribasso che ci rende più poveri. Ai fini intenditori non sfuggirà che sei milioni di lavoratori in meno significano anche sei milioni di contributi pensionistici in meno.
Ma di quanto esattamente più poveri? Possiamo averne un’idea guardando a quello che potrebbe avvenire in America, se una presidenza Trump mettesse in atto il programma annunciato di deportare in massa milioni di lavoratori clandestini. Al Peterson Institute of International Economics hanno calcolato cosa avverrebbe se Trump mettesse in atto un programma minimo: espellere 1,3 milioni di migranti. Le ore lavorate diminuirebbero dell’1,1 per cento, gli occupati dello 0,8 per cento e il Pil, al 2028, dell’1,2 per cento, rispetto al trend senza deportazioni. Se l’obiettivo fosse quello massimo di deportare tutti gli 8,3 milioni di clandestini che, secondo le stime, ci sono negli Stati Uniti, gli effetti sarebbero devastanti: 6,7 per cento di ore lavorate in meno, 5,1 per cento di occupati in meno, un Pil – rispetto al trend – più basso del 7,4 per cento nel 2028. Visto che il Pil americano cresce, ogni anno, appena meno del 2 per cento, l’espulsione di tutti i clandestini congelerebbe il Pil ai livelli attuali: sviluppo zero.
Il punto più interessante, tuttavia, dello studio del Piie, per tornare al migrante di Schroedinger, è che la tesi corrente, per cui, se elimini i migranti, offri più posti di lavoro agli americani o agli italiani, non ha riscontro nella realtà. Storicamente, l’esperienza americana di scrematura dei clandestini mostra che gli imprenditori, privati della forza lavoro straniera (i settori interessati sono soprattutto l’agricoltura, i servizi, il manifatturiero)che occupa, solitamente, le qualifiche più basse, non sostituiscono i lavoratori, ma investono in tecnologie che risparmino lavoro o evitano di espandersi. Contemporaneamente, del resto, la riduzione del numero di consumatori riduce anche la domanda, come abbiamo visto, e, dunque, l’opportunità di produrre, inducendo le aziende a contenere l’attività. Ed ecco un altro paradosso: ridurre i migranti, osservano gli economisti del Piie, non aumenta, ma, al contrario, riduce il numero di americani occupati.
Maurizio Ricci