La sinistra nel mondo non esiste più, assicura un amico. Terzopolista senza se e senza ma, l’amico esagera. Non considera, ad esempio, quanto può fare una destra d.o.c., per ridare corpo, slancio, missione alla sinistra. In Italia, quarant’anni di Dc, con il suo irripetibile cocktail di solidarismo cattolico e ossequio padronale, hanno ingarbugliato le linee di divisione fra conservatori e progressisti. Ora, le ultime elezioni hanno schiarito il quadro e scopriamo che il disegno è molto semplice. Ed è proprio quello che i grandi studiosi di politica avevano indicato. Più individuo che società. Più libertà che solidarietà. Più merito che uguaglianza. Questo l’orizzonte ideologico della destra.
Ridimensionato il rispetto, eccezionale ed inedito, che Giorgia Meloni è stata capace di conquistarsi nella sua ordinata e disciplinata ascesa a Palazzo Chigi, la filigrana di una destra genuina sta emergendo con prepotenza. Più conservatrice che reazionaria, ma anche molto più identitaria, a ben vedere, di quanto potesse arrivare dai terreni più attesi: immigrati e diritti civili. Ed ecco lo smantellamento delle difese approntate contro il Covid, che sdogana la libertà di contagiare gli altri in nome della fine delle restrizioni personali. Ecco il merito indicato come bussola di una scuola pubblica, il cui ruolo, in una democrazia, è preparare i cittadini a vivere nella società e fornire a tutti gli strumenti per promuovere sé stessi, prima che coltivare i talenti di pochi. E ancora, l’idea di sequestrare una misura antipovertà, come esistono in tutta Europa, con funzioni direttamente redistributrici, ovvero il Reddito di cittadinanza, per finanziare la pensione anticipata di chi ha avuto la fortuna di conquistarsela.
Il terreno su cui è più facile trovare le tre bandiere dell’individuo, della libertà e del merito, tuttavia, è la politica fiscale. Questo ci dice l’esperienza in tutto il mondo: per stare ai tempi nostri, il tratto distintivo delle politiche di Reagan e della Thatcher è il taglio delle tasse – proporzionalmente in misura maggiore sui redditi più alti – per liberare energie economiche, compensato da riduzioni delle misure di solidarietà e assistenza. Tasse contro welfare, insomma, tanto per racchiudere in una formula lo scontro destra-sinistra. Forse la definizione più intransigentemente ortodossa di questa politica (dove il taglio al welfare era l’inevitabile secondo tempo di una esplosione del disavanzo pubblico) l’abbiamo appena avuta davanti agli occhi con il piano rovesciato sulla Gran Bretagna da Liz Truss e dal suo ministro dell’Economia, Kwasi Kwarteng. La fine drammatica e ingloriosa (per giunta per mano di forze non propriamente progressiste, come i mercati finanziari) di questo tentativo sono il risultato di una dinamica politica e di un momento storico specifici. La dirompente portata ideologica (meno tasse a chi ha di più uguale più sviluppo) del loro piano resta ugualmente la più efficace descrizione del Dna della destra moderna.
E come si declina l’ideologia cardine della destra moderna nell’arcipelago FdI – Lega – Fi? Non si declina. Viene contrabbandata sottobanco. Messa nel cassetto l’idea della flat tax, il taglio delle tasse avviene di soppiatto, parlando d’altro e rispolverando due strumenti, che in Italia hanno un lungo pedigree, ma che non trovano alcun riscontro negli altri paesi, anche in quelli in cui governa la destra. Il primo è l’ennesimo condono, il rituale lavacro destinato a rendere ancora più coriacea la resistenza fiscale di quella porzione assai ben definita del paese in cui si concentra l’evasione: il 70 per cento dell’Irpef dovuta da professionisti, artigiani e commercianti non viene pagata.
L’altro canale è il nuovo rilancio sul problema del contante. La discussione è ormai quasi stucchevole. L’idea che un tetto all’uso del contante a 5 mila euro venga incontro ai poveri che non si possono permettere un conto corrente (costo 5 euro al mese) si scontra con il fatto che la soglia di povertà in Italia è, più o meno, a 10 mila euro l’anno e pare singolare la necessità di disporre, qui ed ora, di contante pari a metà del reddito annuale. Più credibile la risposta del deputato leghista che rivendica il diritto a non essere tracciato, alla faccia della lotta all’evasione. Eppure, uno studio della Banca d’Italia (i famosi esperti che tanto annoiano a destra) certifica che un aumento di un punto percentuale nell’uso del contante comporta un aumento del nero e del sommerso – la grande piaga italiana nel confronto con gli altri paesi – fra lo 0.8 e l’1,8 per cento.
Il dibattito (legittimo) sull’utilità o meno di un taglio fiscale si maschera, insomma, da favore clandestino a chi ha trovato e trova comodo evadere. Ma conquistare il diritto a pagare meno tasse e appropriarsene nell’ombra non sono la stessa cosa. D’altra parte, come spiega in un agghiacciante tweet il senatore leghista Borghi, rispondendo ad una elettrice che gli teneva conto di trascurare gli interessi di chi le tasse le ha sempre pagate: “Che cazzo (testuale, n.d.r.) vuole da me? Noi realizziamo il programma per cui siamo stati votati. Lei non rientra nella categoria di chi ci ha votato, quindi non mi può rimproverare nulla. Vada da chi ha votato e gli dica di fare qualcosa, altrimenti non li vota più”. La politica, insomma, come guerra per bande.
Fra una destra immaginaria, che eleva a bandiera il privilegio, e una destra reale cialtrona, doppiogiochista e prepotente le occasioni di ridefinirsi, a sinistra, non mancano.
Maurizio Ricci