È intervenuta addirittura Liliana Segre per dire che questa riforma costituzionale, ovvero “la madre di tutte le riforme” come l’ha chiamata Giorgia Meloni, non va bene. Anzi va malissimo. Parliamo ovviamente del famoso, anzi famigerato premierato, ossia quel sistema di governo che permetterebbe ai cittadini di eleggere il premier (o la premier) saltando il Parlamento e quindi riducendolo a una sorta di assemblea quasi inutile, costretta a ratificare le decisioni del capo (o della capa) del governo che una volta avuta l’investitura popolare avrebbe il potere di fare il bello e soprattutto il cattivo tempo. Per non parlare del Presidente della Repubblica ridotto a quel punto a un semplice passacarte delle decisioni del governo, senza più il potere di nominare il capo (o la capa) del governo, visto che sarebbe stato eletto direttamente dal “popolo sovrano”, senza poter più sciogliere le Camere visto che le scioglierebbe direttamente il premier qualora perdesse la maggioranza, insomma un Capo dello Stato solo di nome e non di fatto. Una carica onorifica, in pratica, che certo non sarebbe più in grado, come adesso, di bilanciare, correggere, a volte anche impedire i provvedimenti sbagliati del governo.
Quindi un Capo dello Stato inutile, un Parlamento più che dimezzato e un paese nelle mani del premier che ha eletto e che avrebbe in mano tutto il potere.
Parlare di dittatura forse è eccessivo, ma neanche tanto. Non a caso un sistema del genere non esiste in nessun paese al mondo, l’hanno sperimentato solo in Israele per abolirlo in pochissimo tempo dopo essersi resi conto che si trattava di un gravissimo errore.
Invece noi questo errore lo stiamo perseguendo convinti di fare la cosa giusta, almeno dal punto di vista della destra oggi al governo. La legge infatti sta andando avanti in Parlamento e pure se ci vuole ancora tempo affinché venga approvata (essendo una riforma costituzionale serve una doppia lettura di Camera a Senato a distanza di tre mesi l’una dall’altra), alla fine è molto probabile che verrà varata.
Per fortuna non otterrà i due terzi dei voti e dunque – secondo la Costituzione, che finché non viene abolita resta in vigore – avrà bisogno di passare attraverso un referendum confermativo. Esattamente come accadde per la riforma voluta da Matteo Renzi nel 2016 e che venne bocciata dalla maggioranza degli elettori. Resta dunque da sperare nella saggezza popolare che anche stavolta rifiuti le scorciatoie e le semplificazioni istituzionali, rigettando il tentativo di dare “i pieni poteri” a un premier, così come Matteo Salvini invocò nel 2019, tentativo che gli costò molto caro: crisi di governo da lui voluta, niente elezioni anticipate ma nascita dell’esecutivo rosso-verde, crisi profonda della sua Lega che in poco tempo è passata dal 32 per cento all’attuale 8. Altro che pieni poteri.
Chissà se andrà nello stesso modo anche stavolta, è possibile, forse anche probabile ma per niente scontato. L’italiano medio potrebbe anche essere affascinato dall’uomo (o la donna) forte, che decide senza perdere tempo, senza farsi imbrigliare nella burocrazia politica, senza dover scendere a continui compromessi con deputati e senatori e presidenti vari. Finalmente qualcuno che prende in mano le redini del comando e decide una volta per tutte. Salvo poi spernacchiarlo alla prima occasione utile, come il marziano della barzelletta di Ennio Flaiano, quello che era arrivato a Roma e per qualche giorno era diventato l’attrazione della città ma poi era finito in mezzo a ironie e scherzi, in breve tempo dimenticato da tutti. Confermando così la storica frase di Bertold Brecht: “Beati quei popoli che non hanno bisogno di eroi”.
Riccardo Barenghi