Le parole sono importanti, dicevano taluni. Dipende, rispondono talaltri. E da cosa? Dal contesto, dal mittente e dal destinatario. Nozioni base di linguistica, semantica, semiotica e diritto, si risponde. Ma siamo nell’era del possibilismo e dell’interpretantesimo, uno vale uno e allora asso piglia tutto. Anche nella politica, dove l’etichetta e l’ideologia sono binari da cui bisognerebbe non deragliare. Ma quando la paranoia sostituisce l’ideologia allora è un gran casino e anche l’etichetta va a farsi benedire.
È quello che sta succedendo un po’ ovunque, a quanto pare. A partire dal caso più recente del risultato delle presidenziali Usa 2024. Prendiamo Kamala Harris e il suo vice Tim Walz. Una campagna elettorale frettolosa per cercare di mettere una pezza agli svarioni di Sleepy Joe che proprio non voleva saperne di lasciare la festa e tornare a letto. Poche idee e confuse, come puntare tutto sui diritti civili in un Paese – anzi, un mondo – che chissenefrega dei e delle trans e del diritto all’aborto se poi non riesco a vivere come mi avete promesso quattro anni fa. Ma tutto sommato sono delle persone perbene, una upper middle class che sa bene come ci si comporta e un minimo, tra riffa e raffa, se la sono cavata senza grandi incidenti. Come sia stato possibile, poi, credere che la maggioranza dei cittadini statunitensi potesse scegliere una donna come presidente, resterà un mistero. Come sia stato possibile, a un certo punto, puntare tutto sull’endorsment di Taylor Swift, un altro mistero ancora. L’apice del successo di Harris e Walz, però, è stato raggiunto quando hanno appellato Trump e il suo vice James Vance weird, strani. Se ne è fatto un gran parlare, tra i democratici che se la ridevano nella camicia e i repubblicani offesissimi che diventavano più arancioni del loro leader per il livore. Un passo falso, c’è da dire, perché weird loro weird tutto un elettorato e offendendo Trump-Vance offendi un sacco di gente, anche gli indecisi. (Così come “repubblicani spazzatura”, l’ultimo colpo sparato da Sleepy Joe). D’altra parte voti chi ti somiglia. E quell’arancina matta di Trump è proprio per questo che ha sbaragliato il campo, a dispetto di sondaggi e proiezioni che davano la competizione su un testa a testa serratissimo. Nel paese della birra in lattina e delle gare di hot dog è normale che venga eletto presidente uno con la fedina penale sporca, che ha fomentato all’assalto al Campidoglio gente con il pelo lungo e le corna belle, che simula un atto sessuale con il microfono, che afferma con che nella contea di Springfield i migranti mangiano i cani, che la sua avversaria è una puttana. Agghiacciante, sì, materiale che i democratici hanno provato a sfruttare con sgomento anche per assenza di idee. Ma purtroppo per noi e per fortuna per i repubblicani, è esattamente quello che direbbe o farebbe ognuno di loro e non perché siano weird o redneck, ma perché è quello il paese reale. E se lo dice il candidato alla Casa Bianca allora le distanze tra elettorato e rappresentanza si assottigliano. Trump è un fellone della peggiore specie e come tutti i felloni ha quantomeno la lungimiranza di fare il piacione per assenza di altri strumenti. Ha fatto di tutto per somigliare al suo elettorato (addirittura improvvisandosi cosplayer di un netturbino o addetto alla frittura in un fast food) e non si è trincerato nelle mura universitarie in attesa dei risultati elettorali perché quelli che si trincerano nelle università sono una minoranza. Lui, invece, sceglie Palm Beach, il posto cafone per eccellenza, quello che piace a molti. Ecco, questa è la paranoia che ha preso il posto dell’ideologia: non il complotto dei rettiliani o di Qanon, ma il fatto che tra la rappresentanza e l’elettorato c’è un pericoloso abisso che i democratici non si preoccupano di colmare. Un po’ come succede anche in Italia.
E veniamo a noi, che queste cose ci fanno il solletico dopo un glorioso ventennio berlusconiano, quando l’abisso è stato colmato fino a strabordare e sommergerci e allora abbiamo provato a dragarlo a colpi di governi tecnici o fragili. Solo che puntualmente ce lo dimentichiamo, soprattutto quando dovrebbe servirci, cioè alle urne. Quelli svegli la chiamerebbero “coazione a ripetere” ed è per questo che ci ritroviamo con un esecutivo di rabbiosi improvvisati che però ci somigliano tanto – o meglio, somigliano tanto alla maggioranza dei pochissimi che sono andati a votare nell’autunno 2022. Anche da noi le idee sono poche e confuse, ma proprio per questo bisogna sempre rinnovare il portafoglio dei nemici – anche perché, ormai, prendersela con l’opposizione parlamentare è come menare un pupazzo. Tutto molto pretestuoso, sia chiaro. Gli episodi sono recenti e due. Prima Landini che presumibilmente incita alla rivolta, poi Christian Raimo che ha osato proferire “dichiarazioni pubbliche offensive” all’indirizzo del Darth Fener dell’Istruzione, il ministro Valditara. E l’esecutivo si incazza.
Piccolo recap per mette in fila le cose. “È il momento di una vera e propria rivolta sociale perché avanti così non si può più andare”. Così il leader della Cgil a margine dell’assemblea nazionale dei delegati in corso a Milano, sottolineando che la mobilitazione del 20 novembre è “solo l’inizio” e che andrà oltre la legge di bilancio. “Parole incendiare” afferma il presidente di Noi Moderati, Maurizio Lupi, che “sono gravissime e irresponsabili” e fanno di Landini un “cattivo maestro”. A rincarare la dose si unisce anche Salvo Sallemi, vicecapogruppo di Fratelli d`Italia a palazzo Madama. “Fa rabbrividire che il segretario generale della Cgil, si auguri una rivolta sociale. Pesare le parole è una responsabilità necessaria, soprattutto in un periodo storico in cui i facinorosi dei centri sociali hanno ritrovato nelle strade italiane una preoccupante intraprendenza”. Sarebbe interessante soffermarsi su “i facinorosi dei centri sociali”, che ormai sono come i migranti che mangiano i cani. Comunque Landini non fa un passo indietro e lo ribadisce anche alla manifestazione per il rinnovo del contratto dei lavoratori Tpl.
Il secondo episodio invece riguarda il provvedimento disciplinare – sospensione per tre mesi dall’insegnamento con una decurtazione del 50% dello stipendio – che l’Ufficio scolastico regionale del Lazio ha inflitto a Christian Raimo per le sue “offese” contro il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara. Come spiega Anna Paola Sabatini, Direttore Generale dell`USR Lazio, quelle del docente, già candidato alle Europee con Avs, sono state “dichiarazioni pubbliche offensive”, con cui ha definito l’ideologia di Valditara un calderone “di tutto il peggio, la cialtronaggine, la recrudescenza dell’umiliazione” e il ministro rappresenta “un mondo che ci è avverso e va colpito come la Morte Nera'”, per cui “non possono essere considerate una critica costruttiva; al contrario, si configurano come un’offesa che viola i principi fondamentali di rispetto reciproco e dialogo civile”. Per di più Raimo è recidivo, perché già in un’altra occasione aveva dichiarato a proposito della vicenda ungherese di Ilaria Salis: “Cosa bisogna fare con i neonazisti? Per me bisogna picchiarli”, frase che gli era costato già un primo procedimento disciplinare da parte di Valditara perché “la scuola non può condividere nessuna forma di violenza, anche verbale, nel rispetto dei valori che sono propri della nostra Costituzione”. Ma se si tira in mezzo la Costituzione non si finisce più. E infatti: “Viene punita la libertà d’espressione e critica di scelte politiche di un ministero e di un governo – si difende Raimo -. In questo secondo provvedimento avrei commesso diversi illeciti, tra cui aver leso l’immagine del ministero. Questi termini vanno contro l’articolo 21 della Costituzione e l’articolo 33 che sanciscono la libertà di espressione e di insegnamento”. Raimo, per di più, dice di aver parlato non da docente ma da giornalista. Comunque sia, amici della Lega e di Fratelli d’Italia: proprio voi andate a spargere la morale quando vi scorticate per questa storia che il politicamente corretto ha rotto l’anima?
In definitiva, la prima cosa che viene in mente è: che fatica starvi dietro. La seconda è che, come sempre, sono polemiche montante davvero sul nulla più totale. Nelle affermazioni di Landini e di Raimo (così come in quelle di Harris-Walz e Trump-Vance) non c’è alcunché di originale, di innovativo, e sono quasi sessant’anni che si impiega questo frasario. A un governo cui si chiedono sempre rassicurazioni si rivolge una rassicurazione: i vostri nuovi nemici non sono come le Brigate Rosse (che tra l’altro sono di nuovo sotto processo), anche se siamo certi in qualche modo vi farebbe davvero piacere avere un avversario reale e minaccioso, si confà alla innegabile natura squadrista cercare pretesti per menare le mani. Pari e patta. Anche queste frasi rispecchiano le persone che Landini e Raimo rappresentano: gli arrabbiati, i delusi, gli sfiancati. E la contestazione è sempre sana, senza contare che non pare abbiano l’habitus e la statura dei violenti che chiamano alle mazzate. Certo, un po’ di etichetta non guasta mai, ma ormai l’acceleratore del linguaggio è a tavoletta e il mondo dovrà abituarsi anche a questo.
Elettra Raffaela Melucci