Come le anime che non sono state liberate dal peccato originale vagano nel limbo cattolico, i Neet vivono una condizione di stallo in un girone della vita in cui non si lavora, non si studia né si segue un percorso di formazione. Indefinita è la loro condizione, perché così concepita questa macrocategoria – in cui il lavoro sembra coincidere con la definizione della propria persona – occulta le specificità di un panorama esistenziale estremamente variegato con generalizzazioni che incidono sulle azioni programmatiche volte alla sanatoria di un’annosa questione giovanile. Certo è che il dibattito scientifico sui Neet è molto articolato e può essere considerato uno dei trend globali degli youth studies. Ma secondo il rapporto “Lost in transition”, realizzato dal Consiglio Nazionale dei Giovani con il supporto tecnico dell’IREF , “i Neet sono una costruzione statistica che non sempre si attaglia alla perfezione ai fatti sociali che intende descrivere” e il problema “è quando dalle oggettivazioni statistiche si fanno derivare in modo acritico le scelte di policy, facendo passare per tratti comuni e immancabili quelle che nella realtà sono definizioni statistiche derivate dal perimetro informativo delle indagini ufficiali”. Pertanto la ricerca si pone come obiettivo quello di indagare “motivazioni, significati ed esperienza dei giovani in condizione di Neet” in “un confronto tra aree metropolitane e aree interne”: in questo macro-gruppo ci sono condizioni profondamente differenti fra loro e l’istituzionalizzazione dei Neet come categoria analitica può impedire di identificare specifici soggetti vulnerabili.
Complessivamente in Italia ci sono sono 2,1 milioni di Neet, il 16,1% della popolazione giovanile rispetto a una media europea dell’11,2%. La rilevazione del Consiglio Nazionale dei Giovani e dell’IREF, realizzata tra gennaio e febbraio 2024 con questionario somministrato su un campione di 1.250 giovani tra i 18 e i 29 anni che si sono dichiarati in condizione di Neet, mette a confronto due segmenti: il primo pari a 750 rispondenti è composto da ragazze e ragazzi che risiedono in un comune di una delle 14 aree metropolitane italiane; il secondo, con una numerosità di 500 intervistati, è invece composto da giovani che vivono in un comune di un’area interna. Si tratta quindi di un confronto sistematico tra “Neet urbani” e “Neet interni”, o meglio, rispettivamente, tra Neet “ancora in gioco” e Neet “per ora in pausa”. I primi sono attivamente coinvolti nell’economia informale, attraverso attività come la compravendita online e lavori in nero, mantenendo una certa indipendenza economica. Essi mostrano inoltre un’elevata auto-attivazione sociale e politica. Al contrario, i Neet delle aree interne partecipano meno all’economia informale e alle attività sociali e politiche, un divario attribuibile alle limitate opportunità lavorative e alla carenza di reti di supporto. Già questo dimostra come la corrente definizione statistica della categoria di Neet “non riesca a cogliere la complessità delle condizioni di vita dei giovani di cui non si rilevano informazioni amministrative e che li releghi, dunque, in un gruppo sociale non meglio classificato se non per differenza rispetto alla rappresentazione neoliberale di giovane “attivo” che le politiche del lavoro mirano a costruire”. Ma soprattutto la critica è rivolta anche alle politiche del lavoro che, con la loro enfasi sull’attivazione individuale, formulano “ipoteche morali sui corsi di azione degli individui, tralasciando il fatto che l’inattività possa avere molteplici motivazioni non tutte riconducibili a una deliberata mancanza di volontà dell’individuo”.
Le differenze sopra rilevate sottolineano la dimensione dell’informalità che attraversa i Neet, ossia quelle azioni che, per definizione, sfuggono alla rilevazione statistica dei Neet e che, al contrario, possono sostanziare un’esperienza di vita tutt’altro che statica e passiva. Nel totale del campione intervistato la percentuale di giovani che dichiara di non avere nessun comportamento di auto-attivazione è pari al 9%; tra i residenti nelle aree interne, questa percentuale sale al 20%, mentre tra quelli delle aree metropolitane scende all’1,6%. Il comportamento di auto-attivazione più diffuso è l’autoformazione (81,1%), dopo la compravendita online (76,6%), cui fa subito seguito svolgere piccoli lavori retribuiti in maniera irregolare (74,8%). Il lavoro in nero, in particolare, è svolto dall’88,9% nelle aree metropolitane e dal 53,6% nelle aree rurali; disparità percentuale analoga anche per la vendita online (90,4% vs 56,0%) e per l’autoformazione (94,3% vs 61,4%).
Per quanto riguarda la rimuneratività di tali attività, nelle aree metropolitane, per il 53,4% degli intervistati, i soldi guadagnati servono sostanzialmente a rendersi indipendenti dalla propria famiglia, mentre nelle aree interne il dato quasi si dimezza attestandosi al 28%. Sul totale, i Neet economicamente autonomi sono il 46,2%, quasi la metà del campione, e indagando maggiormente l’effetto emancipativo dei guadagni ottenuti è possibile rilevare come il 63,9% viva a casa con i genitori e il 24,1% invece abiti da solo ma in una casa di proprietà nel 74,2% dei casi.
La ricerca evidenzia inoltre una tendenza tra i giovani Neet a sacrificare i propri diritti lavorativi pur di trovare occupazione, specialmente tra quelli delle aree interne. Il lavoro è fonte di ansia per questi soggetti fuori dal “sistema” anche da più di un anno. Come sottolineato da una precedente ricerca Iref, spesso l’“obbedienza preventiva al lavoro in deroga”, caratteristica della cultura della precarietà, induce i giovani ad “accettare in maniera preventiva le penalizzazioni del mercato del lavoro”. Solo il 19% dei rispondenti non sarebbe disposto a fare alcun tipo di deroga rispetto ai propri diritti, “un segnale pessimo che alimenta l’ideologia perversa del “lavoro a ogni costo””.
Nell’analizzare le responsabilità di questa condizione, il 30,4% degli intervistati mostra una forte soggettivazione, individuando in sé stesso il responsabile; per il 45%, invece, la responsabilità è nell’offerta di lavoro; hanno uno scarso peso il ruolo della famiglia (7,8%) e del luogo in cui si vive (16,7%). In relazione alla distribuzione geografica tra area interna e metropolitana , tuttavia è possibile notare come la responsabilità attribuita all’offerta di lavoro sia preponderante nelle aree metropolitane per il 57,7% contro solo il 26% delle aree interne.
Insomma, la percezione dei Neet nell’opinione pubblica non corrisponde alla realtà e l’analisi per cluster rivela un paesaggio quantomai variegato. La ricerca dimostra “quanto non sia realistica la narrazione dei giovani choosy e quanto siano estese la zona grigia di formazione non riconosciuta e quella di lavoro sommerso e in deroga”, sottolinea la Presidente del Consiglio Nazionale dei Giovani, Maria Cristina Pisani. “Giovani che, peraltro, affrontano sfide uniche e variegate a seconda del loro contesto territoriale. È cruciale che le politiche pubbliche riconoscano queste differenze e adottino approcci personalizzati per supportare efficacemente i NEET e accompagnarli verso una formazione e un’occupazione di qualità. È necessario lavorare per promuovere politiche che riconoscano e valorizzino l’iniziativa dei giovani, offrendo loro gli strumenti e le risorse necessari per costruire un futuro più stabile e all’altezza delle loro aspirazioni. È fondamentale agire adesso e con tempestività per garantire che nessun giovane resti ‘lost in transition’”.
Elettra Raffaela Melucci