La presentazione postuma del libro “il distretto forte” di Bruno Benigni (edizione Centro promozione per la salute “Franco Basaglia”) tenutosi il 3 marzo nella sala dei Grandi della Provincia di Arezzo, è stata l’occasione per ricordare la figura dell’autore e per discutere sui contenuti del testo, interamente dedicato alle cure di prossimità e alla integrazione socio sanitaria. Bruno Benigni, è qui doveroso ricordarlo, è stato uno degli intellettuali organici e amministratori pubblici, che maggiormente hanno contribuito alla nascita del nostro welfare state. Apparteneva a quella generazione di dirigenti politici e sindacali che ha fondato il nostro servizio sanitario nazionale, avendo come modello e riferimento gli articoli 1 e 32 della Costituzione italiana del 1948 e il National health service inglese del 1946. La sua caratteristica peculiare una straordinaria capacità di elaborare e tessere pratiche e relazioni istituzionali.
Bruno Benigni non è stato un intellettuale “astratto” come si potrebbe definire Giovanni Berlinguer, con cui ha a lungo collaborato, ma un intellettuale “produttivo” in cui i principi trovavano sempre declinazione nel concreto delle loro possibilità, in una ineguagliabile sintesi di lavoro teorico e prassi istituzionale.
Un agire nel campo della salute pubblica da assoluto protagonista: dalla chiusura del manicomio di Arezzo, ai tempi in cui era l’assessore provinciale ai servizi sociali, alla stesura con Franco Basaglia della legge 180 del 1978; dalla elaborazione della grande legge di riforma sanitaria N° 833 del 1978, targata Tina Anselmi, alla ideazione della “casa della salute” recepita dal Ministro della Salute Turco e ora adottata in moltissime regioni italiane; dal passaggio della sanità penitenziaria dal ministero di grazia e giustizia alle aziende sanitarie, fino ad arrivare alla chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) realizzata solo alcuni giorni orsono.
Un contributo altrettanto importante ha dato Bruno Benigni nella messa a punto di un modello di cure di prossimità che fosse in grado di rispondere alle numerose sfide poste dalla società postmoderna:
- Invecchiamento della popolazione e inversione della piramide demografica
- De-tradizionalizzazione della società (famiglia, identità, reti sociali)
- Transizione epidemiologica con il passaggio dalle malattie acute alle malattie ad andamento cronico
- Massima prevalenza della “Cronicità” e non autosufficienza
A fronte di questa nuova condizione, Bruno Benigni era del tutto consapevole che il servizio sanitario non dovesse più essere incentrato sull’ospedale (la cui funzione, in virtù della concentrazione di tecnologie e specialità in esso presenti, è il trattamento di eventi acuti), ma dovesse farsi carico in modo particolare delle malattie oggi più prevalenti; e quindi di quelle ad andamento cronico che necessitano di un approccio totalmente diverso e innovativo: pro attivo (la cosiddetta medicina di iniziativa) per impedire riacutizzazioni e sostenuto nel tempo per le loro caratteristiche cliniche. Le cure primarie devono svolgere tale funzione e un sistema di cure di prossimità per essere efficiente necessità di un distretto socio sanitario forte.
Il distretto socio sanitario è dunque un aera-sistema, calibrato su una popolazione di circa 60.000 persone; in esso si realizza la presa in carico del paziente e l’integrazione tra le attività di tipo sanitario con quelle di tipo socio-assistenziali; obiettivi realizzabili solo attraverso il lavoro in team delle diverse professionalità in esso presenti (medici di medicina generale, specialisti ambulatoriali, infermieri, professionisti della riabilitazione, assistenti sociali)
Un distretto forte necessita poi di un’articolazione in aree elementari corrispondenti a un bacino di 5,000 persone al fine di garantire un’equa distribuzione di servizi e strutture.
Indispensabile è allora che la regione introduca l’obbligo per le Aziende sanitarie locali (ASL) di redigere uno specifico Piano regolatore delle strutture e servizi ponendo così fine alle disomogeneità presenti tra i diversi territori.
In ciascun’Area elementare dovrebbe essere collocata una casa della salute come centro di erogazione delle prestazioni e presa in carico dei pazienti. Nella casa della salute inoltre dovrebbe essere collocati gli studi dei medici di medicina generale, da raggiungere attraverso specifico accordo, e si dovrebbero programmare le attività di assistenza domiciliare e gli interventi di tipo socio assistenziale
Un distretto forte necessita di risorse ad esso esclusivamente dedicate ( budget di distretto) e di una direzione distrettuale in grado di governare l’insieme delle attività, a partire da quelle di prevenzione collettiva e individuale.
Responsabile del distretto è Il direttore del distretto che deve essere coadiuvato da una direzione composta da rappresentanti delle tre aree tematiche in cui esso si dovrebbe articolare: area della prevenzione, area delle cure primarie e area della integrazione socio sanitaria. Il metodo di lavoro è quello della programmazione concertata degli interventi al fine di predisporre protocolli operativi, impegnativi e vincolanti per lavoro comune e idonei strumenti di valutazione scientifica dei risultati ottenuti.
Nel distretto, un altro dei grandi temi di Benigni, deve essere garantita la partecipazione dei cittadini attraverso la definizione di specifiche procedure concernenti la programmazione concertata delle attività e soprattutto la valutazione di risultati ottenuti al fine di un concreto miglioramento della qualità dei servizi.
Un ruolo altrettanto importante ha la definizione dei bisogni sanitari della popolazione di riferimento. Un distretto forte deve disporre di un servizio informativo in grado di valutare le condizioni epidemiologiche della popolazione e di elaborare un vero e proprio Profilo di salute del distretto sociosanitario propedeutico per il progetto globale di prevenzione e per il Piano integrato di salute. Lo Strumento operativo idoneo a tali compiti è la cabina di regia distrettuale per la prevenzione; un organismo a cui partecipano rappresentanze del dipartimento di prevenzione delle tre aree distrettuali e che ha come obiettivo finale quello del progetto globale di prevenzione (la salute in tutte le politiche) alla cui stesura partecipano attivamente le rappresentanze dei cittadini.
Un ruolo fondamentale nella programmazione concertata delle attività deve cominciare a svolgere l’ente locale perché la vera sfida è quella di implementare un efficiente sistema di welfare locale
Il comune ha finora svolto un ruolo marginale, nonostante la legge nazionale abbia affidato a tale Ente la programmazione delle attività sociali e socio sanitarie e le relative risorse ( purtroppo sempre più scarse)
Lo strumento legislativo prescelto ai fini della co-concertazione con la regione, la conferenza dei sindaci o il consiglio comunale (nel caso in cui il territorio dell’ente locale coincida con il distretto o con il comune), è tuttavia risultato totalmente inadeguato. Di fatto, nonostante il sindaco sia il massimo responsabile della salute dei propri cittadini, tale figura gioca un ruolo del tutto marginale nella programmazione dei servizi socio sanitari. Responsabilità spesso equamente distribuite tra i diversi soggetti istitutzionali
Lo strumento più adeguato per rendere cogente la programmazione delle attività sociali e sanitarie, conferendo eguale responsabilità a regione e ente locale è l’unione dei comuni; una unione dei comuni, tuttavia da rendere obbligatoria attraverso un provvedimento legislativo di rango statale in virtù della attuale ripartizione delle competenze prevista dal Titolo V che impedisce che tale normazione possa avvenire a livello ragionale. In mancanza di tale provvedimento l’unione dei comuni rimane solo un’opzione facoltativa e il suo parere di significato modesto in quanto non vincolante per la regione.
E’ ormai chiaro, al contrario, che uno dei capisaldi di una sanità pubblica adeguata ai tempi è un’ integrazione operativa tra il servizio sanitario e quello sociale, essendo le due componenti sociali e sanitarie legate tra loro in modo indissolubile; e questo in modo particolare nella persone anziane che, nella maggioranza dei casi, sono affette da poli-patologie croniche necessitanti interventi integrati a forte rilevanza sociale.
Un’integrazione operativa si può realizzare solo tramite una Convenzione obbligatoria e vincolante tra il comune o l’unione dei comuni e l’Azienda sanitaria nella quale siano definiti in modo chiaro ambiti e competenze: specifici processi operativi per l’integrazione; risorse professionali, strutturali e finanziarie conferite a ciascuno degli Enti convenzionati; direzione unica del servizio e modello organizzativo; forme di partecipazione dei cittadini; sedi e strumenti per la verifica dei risultati.
Il convegno dunque è stata la sede e l’occasione per discutere nel dettaglio tali temi in un ambiente istituzionale particolarmente sensibile e attento a tali problematiche. Un luogo per ricordare Bruno Benigni al quale sono stato legato per anni e con il quale ho condiviso un lungo percorso professionale al Sindacato prima ( Benigni è stato per molti anni dirigente nazionale dello SPI) e al Ministero della salute dopo.
Roberto Polillo