All’epoca di quella che il politologo Sartori ha definito “videocrazia” per enfatizzare il ruolo esercitato dai media televisivi nella costruzione del consenso, le caratteristiche che un leader deve possedere non sono certo quelle preconizzate da Max Weber.
Nessuno oggi si aspetterebbe da un leader l’esercizio di un potere carismatico e il possesso di “qualità personali tali da essere ritenute straordinarie dai seguaci che lo seguono perché credono in lui”.
Qualcosa comunque un leader deve riuscire ad esprimere anche se per un periodo temporale estremamente limitato. Con la personalizzazione della politica e la fine dei partiti novecenteschi, infatti, anche la durata di una leadership si è ridotta parallelamente a quella delle aspettative dei cittadini. Sempre di più breve raggio e corto respiro.
Se dunque la durata in vita istituzionale di un leader si è progressivamente ridotta il fenomeno si è dimostrato ancora più accentuato nella sinistra italiana che pure della solidità, fatta di militanza attiva e partecipazione, aveva fatto la sua cifra distintiva. Le grandi narrazioni non convincono più ma neanche quella che U. Beck chiama la sub politica, ovvero sia la capacità di affrontare la dimensione locale dei problemi, ottiene risultati apprezzabili. Di fatto in soli pochi anni la sinistra ha consumato una serie numerosa di leader con una spregiudicatezza, per certi versi inattesa, in uno schieramento politico profondamente radicato nella nostra società.
Il veloce tasso di sostituzione dei leader acquisisce allora un doppio significato. Da un lato è il segno della debolezza della politica e di quella mancata indipendenza dalle lobby, ivi comprese quelle parlamentari, che Weber considerava tratto essenziale della caratura morale di un leader duraturo e che tanto hanno influito nella designazione del leader di turno; dall’altro lato è il segno della inefficacia delle politiche praticate e degli scarsi risultati ottenuti a seguito dell’azione di governo. E così alla incapacità di esercitare un’azione di governo realmente innovativa si ovvia con la semplice sostituzione della figura del leader, scegliendo peraltro tra quelli più telegenici e l’eloquio più convincente nell’unico spazio pubblico ormai praticato e praticabile : i talk show e i salotti televisivi
Questo schema, tuttavia, non è destinato a durare e le conseguenze di una progressiva perdita di credibilità, sono visibili soprattutto con l’espansione dell’area dell’astensionismo, di gran lunga il primo partito in Italia e con l’affermazione di movimenti di stampo populista che peraltro si muovono in un’altra dimensione della comunicazione: quella del web e dei social network che ha relegato agli over 40 l’uso del mezzo televisivo ormai obsoleto per le nuove generazioni.
Questi problemi sono oggi all’ordine del giorno e la sinistra che non si riconosce nel PD ha bisogno, per rinascere, di un leader. Non di un leader seriale, ripescato dal book scolorito della sinistra storica, ma di un leader di una nuova generazione, saturo di energia morale e capace di un nuovo linguaggio. Un linguaggio che sappia parlare, in un modo credibile, agli sconfitti della globalizzazione ormai privi anche delle tutele più elementari . Un leader che non esce dal cappello del prestigiatore, ma che potrà emergere se si getteranno le basi per un politica effettivamente partecipata e senza arroccamenti precostituiti. Con tutto il rispetto del caso un leader di questo tipo non può essere nessuno dei vecchi dirigenti della sinistra e quindi nemmeno Giuliano Pisapia, il cui rifiuto di guardare al passato, quasi che fosse un ingombro, è poco comprensibile e poco rispettoso di una tradizione di cui lui stesso è stato parte importante. I valori fondanti della sinistra, infatti, non cambiano col tempo. Il principio di uguaglianza di tutti i cittadini ne è il valore fondante ed identitario. Quello che cambia è il modo di difendere questo principio e di declinarlo nella fase storica attuale in cui la globalizzazione, accarezzata purtroppo anche dalla sinistra, ha mostrato i suoi limiti e la sua incapacità di generare benessere e giustizia sociale.
Serve dunque un rinnovamento della classe dirigente della nuova sinistra e soprattutto un programma di pochi punti in cui con chiarezza si affrontino le vere questioni sul tappeto: il lavoro, la ridistribuzione delle ricchezze, le libertà individuali, lo sviluppo sostenibile, il ruolo della cultura. Vecchi temi che non hanno certo perso di attualità.