La crisi determinata dall’emergenza sanitaria farà esplodere ancora di più l’esercito degli abusivi e dei lavoratori in nero presenti in Italia. Stando alle previsioni dell’Istat, infatti, entro la fine di quest’anno circa 3,6 milioni di addetti rischiano di perdere il posto di lavoro e il reddito di cittadinanza ha contribuito ad aumentare questo enorme numero di persone che ricorrono al lavoro irregolare nei campi, nei cantieri edili, nelle fabbriche o nelle case degli italiani per prestare la propria attività lavorativa, per non perdere il diritto di percepire il rdc, e producendo 78,7 miliardi di euro di valore aggiunto sommerso.
E si badi bene a rimetterci non sono solo le casse dell’erario e dell’Inps, ma anche le tantissime attività produttive e dei servizi, le imprese artigianali e quelle commerciali che, spesso, subiscono la concorrenza sleale di questi soggetti.
La contrazione del Pil sarà, ad essere ottimisti, del 10 per cento: una riduzione quasi doppia rispetto a quella registrata 11 anni fa. Alla luce di ciò, è molto probabile, dal momento in cui verranno meno la Cig introdotta nel periodo Covid e il blocco dei licenziamenti, che il tasso di disoccupazione assumerà dimensioni molto preoccupanti. L’Europa in Commissione ha redatto una Piattaforma Bruxelles Com Bruxelles, COM (98) – 219 definendo il lavoro sommerso un’importante causa di malfunzionamento del mercato produttivo, di quello dei servizi e di quello del lavoro e rischia di erodere le fondamenta su cui si basa il finanziamento e l’erogazione della sicurezza sociale e dei servizi pubblici, poiché la riduzione delle entrate comporta una riduzione del livello dei servizi che lo Stato è in grado di offrire. È possibile distinguere tra due tipi di lavoro sommerso: uno che consiste essenzialmente nell’evasione delle tasse e dei contributi sociali da parte di persone occupate che svolgono una seconda attività e l’altro che consiste in una specie di lavoro sommerso “organizzato” che non rispetta la legislazione sul lavoro.
Attualmente, il lavoro sommerso è essenzialmente del primo tipo, mentre i decisori politici che presiedono al mercato del lavoro tendono a concentrarsi sul secondo. Una strategia che voglia avere un impatto finalizzato alla riduzione del lavoro sommerso dovrebbe comportare una miscela degli elementi . Tale miscela varierà inevitabilmente da uno Stato membro all’altro. Un’efficace attuazione rimane comunque un elemento importante della strategia complessiva, indipendentemente dalle misure prescelte. Il presente documento intende avviare un dibattito sulle cause del lavoro sommerso e sulle opzioni politiche per combatterlo. Esso fa presente che vi è innanzitutto la necessità di identificare correttamente le cause e la dimensione del problema e, in secondo luogo, di considerare la lotta contro il lavoro sommerso quale elemento della strategia complessiva per l’occupazione.
La Commissione auspica e si attende che gli Stati membri, le istituzioni comunitarie e le parti sociali partecipino attivamente a questo dibattito. In tale contesto si dovrebbero prendere in considerazione un’accresciuta consapevolezza delle cause e della dimensione del lavoro sommerso, l’identificazione di esempi di prassi ottimali per combatterlo e la possibilità di un’azione coordinata a livello di UE. Se lo si considera essenzialmente nell’ottica di persone o aziende che approfittano del sistema e danneggiano nel contempo il benessere della collettività, l’intervento dovrebbe essere orientato su sanzioni e dovrebbe far leva sui seguenti strumenti: • assicurare che si facciano rispettare con maggiore rigore le regole. Se nella società si attribuisce valore alla ridistribuzione dei redditi e all’erogazione di servizi sociali, spetta allo Stato contenere il numero di coloro che se ne avvantaggiano senza pagare lo scotto. • favorire sistemi in cui i diritti alle prestazioni della sicurezza sociale sono legati al versamento effettivo di contributi. • fare opera di sensibilizzazione per stigmatizzare questo comportamento asociale e ribadire il fatto che truffare il sistema danneggia tutti.
Se il lavoro sommerso è essenzialmente visto quale risultato di nuove forme di lavoro o di nuovi modelli lavorativi e di una legislazione inadeguata che non riesce ad adattarsi a tempo a tali cambiamenti, l’intervento politico dovrebbe imperniarsi essenzialmente sulla prevenzione, utilizzando i seguenti mezzi:
• liberalizzazione dei mercati dei prodotti e servizi e semplificazione delle procedure per la creazione di piccole imprese
• incoraggiamento alla strutturazione della fornitura di servizi per certi settori (assistenza, pulizia …) e riconoscimento delle nuove occupazioni e competenze
• maggiore coinvolgimento delle parti sociali per quanto concerne gli aspetti dell’informazione, dell’applicazione e del controllo a livello settoriale, locale ed europeo
• adattamento della legislazione del lavoro che si sia rivelata inadeguata in linea con l’evoluzione dei nuovi tipi di lavoro
• riforma del sistema di protezione sociale in modo da coprire brevi periodi di lavoro, il lavoro saltuario, le persone che entrano e escono dal mercato del lavoro, il settore dell’assistenza, ecc. …
• riduzione della tassazione sulla manodopera sia per quanto concerne i costi che gravano sugli imprenditori (contributi della sicurezza sociale) che il reddito disponibile dei lavoratori
• riduzione delle aliquote IVA applicate ai servizi ad alta intensità di manodopera.
È importante ridurre gli incentivi economici che incoraggiano il ricorso al lavoro nero e accrescere l’attrattiva di partecipare all’economia formale al fine di modificare l’equilibrio complessivo rischio/vantaggio. Per combattere in modo efficace il lavoro sommerso è necessario predisporre una strategia mirata ad ampio raggio. Si dovrà attuare un complesso di misure ispirate ai due approcci menzionati sopra, assicurando nel contempo che le diverse misure interagiscano e che altre iniziative politiche non siano in contraddizione con le misure adottate per combattere il lavoro sommerso.
Alessandra Servidori