Un mese di film, documentari, corti d’autore interamente concentrati sul lavoro. Una rara opportunità per assistere alla più ampia visione proposta in Italia di materiali dedicati a una questione di grande d’attualità, capaci di suscitare forti emozioni. Diciassette giorni di proiezioni, tre sezioni, venticinque proposte, otto corti e sette documentari, otto ospiti attesi: sono i numeri che caratterizzano l’edizione 2017 del Labour Film Festival, la tredicesima, in programma a Sesto San Giovanni dal 4 settembre al 5 ottobre prossimi.
Più che le cifre, però, valgono i contenuti. A partire dalle serate speciali dedicate a due degli autori che con maggiore insistenza e grande sensibilità hanno puntato la cinepresa sul mondo del lavoro e i problemi sociali: Ken Loach e Aki Kaurismaki. La proiezione delle opere più recenti dei registi, Io, Daniel Blake e L’altro volto della speranza, saranno precedute da una panoramica della loro filmografia, con la presentazione di sequenze tra le più significative dei loro film affidata al commento di due giovani critici.
Arricchiscono il cartellone alcuni dei lungometraggi più interessanti che la stagione appena conclusa ha offerto: da 7 minuti di Michele Placido, sulla battaglia di undici donne per la difesa del lavoro in occasione della vendita di una fabbrica tessile, a The circle di James Ponsoldt, sulle conseguenze delle nuove tecnologie nel mondo dei media, a Merci patron di Francois Ruffin, una ironica rappresentazione del mondo del lavoro che ha battuto i record di incassi in Francia.
Senza dimenticare la serata di chiusura della rassegna, che proietta un cono di luce sulle drammatiche e spesso misconosciute condizioni di lavoro in Cina. Sullo schermo della Casa delle associazioni sarà infatti proposto il documentario We the workers di Wenhai Huang, girato tra il 2009 e il 2015 tra gli operai del sud del Paese. Per l’occasione è stata predisposta una versione di un’ora, con sottotitoli in italiano, invece dell’edizione originale di due ore e trenta presentata all’ultima edizione del festival internazionale di Rotterdam.
Non bisogna poi dimenticare la vasta scelta di corti e documentari che sempre più attirano un pubblico attento e appassionato.
Ma perché un festival di cinema sul lavoro quando, nonostante le difficoltà di questi anni, il tema sembra interessare sempre meno il mondo della fiction? Il Labour è nato proprio per valorizzare gli autori più attenti alle questioni sociali e per far riflettere sui problemi del lavoro attraverso il cinema. Un mezzo capace di suscitare emozioni e di raggiungere con la forza e la suggestione delle immagini anche un pubblico poco incline a confrontarsi con questioni complesse.
Il festival si svolge nella ex Stalingrado d’Italia, città delle fabbriche ormai decaduta, ma dove la cultura del lavoro è ancora forte e diffusa. Nato nel 2005 da un’idea del circolo Acli sestese, oggi i titolari dell’iniziativa sono Acli e Cisl Lombardia e Cinema Rondinella. Tra i media partner oggi figura anche il Diario del lavoro.
La rassegna è andata via via crescendo col passare degli anni e il maturare dell’esperienza. In occasione della VII edizione il festival si è arricchito di nuove proposte, affiancando alla proiezione dei film di fiction documentari e corti nelle sezioni Labour film, Labour doc e Labour short. Passando dalle iniziali tre serate di proiezioni a dieci, fino alle attuali diciassette.
Partecipazione di registi, critici, autori e professionisti dei diversi mestieri del cinema, convegni, degustazione abbinate ai soggetti dei film – vini valtellinesi in occasione della presentazione del documentario di Ermanno Olmi Rupi del vino – completano e arricchiscono l’offerta del festival.
Il Labour è parte di una rete internazionale di rassegne dedicate a cinema e lavoro, dove la parte del leone la fanno le iniziative del mondo anglosassone. Ma di questo ci sarà modo di parlarne in un’altra occasione.