Il lavoro si è fatto da parte. O meglio, è stato messo da parte dai partiti, tutti intenti alla formulazione delle liste dei candidati al Parlamento e a immaginare le prossime possibili alleanze. Delle prospettive economiche non si cura nessuno, le leggi dell’economia, pure abbastanza ferree, vengono distorte nel tentativo di catturare l’interesse, spesso solo l’attenzione degli elettori.
Errore prevedibile, ma grave, perché il problema principale del nostro paese deriva proprio dalla mancanza di lavoro, dalle difficoltà economiche del paese, dalla caduta verticale della coesione sociale cui abbiamo assistito in questo ultimo terribile anno. Sarebbe necessario che i partiti formulassero i loro programmi sulla base di questi problemi, perché il ricompattamento sociale non è dietro l’angolo, non basta una scelta azzeccata per rimarginare le ferite. I guasti sono stati profondi ed è necessario ricominciare dalla base per costruire una politica che lentamente, ma con una qualche efficacia, aggredisca quei mali.
Servirebbe una politica industriale e giustamente la Confindustria ha messo in cantiere la preparazione di un programma di interventi da presentare ai partiti che sappia ricostruire il sistema della produzione indicando i settori sui quali puntare. E servirebbe una politica sociale che guardi ai problemi dell’occupazione e se ne faccia carico. Il governo Monti ha agito negli ultimi dodici mesi o poco più intervendo in profondità con provvedimenti, specie le riforme della previdenza e del lavoro, cui non si poteva rinunciare perché era in gioco la sopravvivenza del sistema politico di alleanze internazionali cui non potevamo rinunciare. Ha agito in condizioni di necessità e nessuno gli rimprovera la profondità degli interventi. Ma lo ha fatto manovrando più una scure che un bisturi, ha colpito non proprio a caso, certamente senza distinguere troppo. E soprattutto ha addossato il maggior peso su chi aveva meno, con la conseguenza, scontata, di fare cassa quanto era necessario, ma lasciando un terreno disseminato di morti e feriti di cui forse invece era possibile fare a meno. Adesso si tratta di intervenire lì e sarebbe bene che i partiti chiarissero ai loro elettori cosa vogliono fare, come intendono muoversi, di chi credono bisogna occuparsi con priorità.
Quello delle alleanze sociali è un capitolo spinoso. La concertazione, ma anche il dialogo con le parti sociali sono pratiche respinte da Monti, perfino più di quanto non avesse fatto il precedente governo Berlusconi. Il liberista Monti ha detto con chiarezza che si tratta di una pratica inutile, buona solo a far perdere tempo. Le parti sociali, ha detto, sono portatrici di interessi di parte, posso sentirli, ma certo non discutere con loro cosa il governo voglia o non voglia fare. Un assunto, che io ritengo sbagliato, ma che va trattato in quanto tale, discusso e giudicato. Sindacati e imprenditori hanno sempre detto che le riforme del governo Monti sarebbero state molto più incisive e molto meno pesanti se fossero state costruite assieme alle parti sociali, che quei problemi conoscono ben più di professori universitari, bravi nella teoria, spesso ignari di ciò che accade quando certe regole vengono applicate nella realtà.
Sembrano indicazioni un po’ terra terra, di cui sarebbe inutile parlare. E invece nell’impazzimento della politica, alle prese con una competizione che si preannuncia importante perché non ne sono distinguibili gli esiti e perché comunque in grado di sovvertire gli equilibri precedenti, proprio a queste regole i partiti dovrebbero attenersi. Ma di economia e lavoro i candidati cercano di non parlare se non per promesse che però non spiegano come possano diventare realtà. Un po’ di onestà intellettuale forse non guasterebbe, proprio considerando le difficoltà economiche nelle quali si dibatte gran parte dl paese.
Massimo Mascini