Un’azienda assicuratrice intima il licenziamento ad una dirigente per giustificato motivo oggettivo. La dirigente impugna il licenziamento e chiede il pagamento di differenze retributive e le competenze di fine rapporto che assume esserle dovute.
La Corte di Appello di Milano, riformando parzialmente la sentenza del Tribunale, ha dichiarato legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ma ha dichiarato come dovute le differenze retributive richieste in pagamento dalla dirigente.
La Corte di Appello ha condannato, però, la dirigente al pagamento delle spese di lite a favore dell’azienda nella misura di 2/3 pari alla somma di di euro 26.000 (euro 13.000 per il primo grado ed euro 13.000 per il secondo grado compensando tra le parti ulteriore terzo.
La Corte di Appello ha ritenuto di dover condannare la dirigente al pagamento dei 2/3 delle spese di lite, e non dell’intero, perché l’azienda “avrebbe fin dall’inizio dovuto provvedere al pagamento sia del trattamento speciale sia delle spettanze di fine rapporto e del TFR”. Pagamento che non ha eseguito, violando un suo obbligo.
La dirigente ha proposto ricorso in Cassazione contro il capo della sentenza della Corte d’Appello che ha statuito la sua condanna parziale al pagamento delle spese processuali, lamentandone l’erroneità in diritto.
La Corte di Cassazione ha respinto tutti gli altri motivi del ricorso presentate dalla dirigente ma ha accolto il motivo relativo al regolamento delle spese processuali perché per la Corte di Cassazione “va, infatti, condiviso il principio secondo il quale in caso di accoglimento parziale della domanda, anche laddove articolata in più capi, il giudice può, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma questa non può essere condannata neppure parzialmente a rifondere le spese della controparte, nonostante l’esistenza di una soccombenza reciproca per la parte di domanda rigettata o per le altre domande respinte, poiché tale condanna è consentita dall’ordinamento solo per l’ipotesi eccezionale di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa;
ciò sulla scorta di quanto argomentato dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui “non può condividersi l’ampia applicazione del principio di causalità propugnata dall’orientamento giurisprudenziale che ritiene ammissibile la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali, nonostante il parziale accoglimento della domanda. Se è vero, infatti, che nel nostro ordinamento processuale coesistono criteri diversi di regolamentazione delle spese di lite, non tutti improntati al principio di soccombenza e destinati a far fronte a situazioni diverse, è anche vero, però, che al di fuori di tali ipotesi torna a trovare applicazione la regola generale, la quale esige che a sopportare le spese del processo sia colui che, come affermato da un’autorevole dottrina, risulta vinto nella lotta giudiziale: e tale è indubbiamente anche la parte che, pur avendo agito o resistito in giudizio con argomentazioni ritenute parzialmente fondate dal giudice, abbia visto accogliere, sia pure in misura ridotta, quelle della controparte. In tal senso depone chiaramente l’insistenza del Giudice delle leggi sulla “gravità ed eccezionalità” delle ragioni richieste ai fini della compensazione, nonché la sottolineatura da parte dello stesso del rischio, posto in rilievo anche dall’ordinanza interlocutoria, che la prospettiva di una condanna alle spese possa scoraggiare la parte che ha ragione dal far valere in giudizio i propri diritti, con conseguente menomazione del diritto alla tutela giurisdizionale, garantito dagli artt. 24 e 111 Cost.“;
orbene, nella specie la dirigente ( n.d,r,), che ha agito in giudizio non solo per impugnare il licenziamento ma anche per ottenere il pagamento, come riconosciuto dalla Corte territoriale, “sia del trattamento speciale sia delle spettanze di fine rapporto e del TFR”, somme dovute e non erogate dalla società datrice di lavoro, in quanto parzialmente vittoriosa in primo grado, non poteva essere condannata, neppure parzialmente, a rifondere le spese della controparte, così come invece statuito dalla Corte medesima;”. Cassazione civile sez. lav. – 12/03/2024, n. 6540.
La Corte di Cassazione, decidendo definitamente la causa senza rinvio ad altra Corte di Appello, ha dichiarato che tutte le spese di lite, comprese quelle della causa avanti a sé, erano da compensarsi tra le parti in modo integrale. Questa soluzione per la Cassazione si giustifica per l’esito complessivo della lite e per l’accoglimento in misura sensibilmente ridotta delle pretese della dirigente.
La sentenza della Corte di Appello di Milano, prima, e la sentenza della Cassazione, dopo, dimostrano che in questi tempi non corre buon’aria per i lavoratori che si rivolgono ai giudici per far valere un diritto che presumono di aver maturato, nonostante i principi costituzionali tanto appropriatamente richiamati nella stessa sentenza dalla Cassazione.
Si dimentica che soggetti disuguali per forza economica e condizione sociale non possono essere, comunque, trattati allo stesso modo nel regolamento delle spese di lite. Se così non fosse la tutela giurisdizionale degli artt. 24 e 111 della Costituzione a favore del lavoratore, soggetto debole per antonomasia, rischia di essere svuotata di significato e ridotta ad una grida di manzoniana memoria.
Biagio Cartillone