Sicurezza, stabilità, fiducia, serenità. Per un sociologo, le classi medie si definiscono anzitutto per la loro psicologia. Ma, oggi, in Italia, come in tutto l’Occidente, la psicologia di quello che, una volta, era il baricentro della società è dominato da un mix di ansia, precarietà, pessimismo, rancore. L’ampiezza delle classi medie si restringe: nei paesi industrializzati, negli anni ’80, erano il 68 per cento delle persone, oggi siamo al 60 per cento, dice uno studio dell’Ocse, l’organizzazione che raccoglie i paesi ricchi. In Italia al 59 per cento. Perdono terreno: trent’anni fa, complessivamente, il loro reddito valeva oltre quattro volte quello dei ricchi, oggi meno di tre volte. In casa, neanche lavorando in due riescono ad assicurare il tenore di vita che siamo abituati ad associare alla classe media. Perché i lavori delle classi medie non pagano più stipendi da classe media.
Lo si vede con la massima chiarezza negli Stati Uniti, dove la crisi, al contrario che da noi, è un ricordo lontano e l’economia romba da quasi dieci anni. Eppure, per lo stesso lavoro, lo stipendio non è più quello di una volta. Negli anni ’80, un lavoratore specializzato dell’edilizia guadagnava (ai valori attuali) 33,55 dollari l’ora, per uno stipendio annuo di 70 mila dollari. Oggi, lo stesso carpentiere prende 20,23 dollari l’ora, per uno stipendio annuo di 42 mila dollari. Una cifra che non basta più a garantire i classici distintivi della classe media: la casa, un’auto nuova, le vacanze. Nel 1985, dice l’Ocse, in Occidente per comprare una casa di 60 metri quadri in una grande città, una famiglia doveva impegnare 6,8 anni di stipendio. Oggi, non ne bastano dieci. L’inflazione è bassa, ma i prezzi delle cose che definiscono il tenore di vita della classe media aumentano più in fretta dell’inflazione e degli stipendi.
In Italia, il salario medio è di circa 14 euro l’ora (un po’ meno di 16 dollari). Siamo un paese che si vede in grande. Un po’ come in Messico e in India (ma non negli altri paesi) l’80 per cento della popolazione si considera classe media, ma la realtà è assai meno brillante: secondo l’Ocse la classe media italiana non arriva al 60 per cento. I ricchi sono il 9 per cento. Il resto si divide più o meno a metà fra redditi inferiori e veri e propri poveri. Il criterio utilizzato ruota intorno al reddito non medio, ma mediano: la cifra tale per cui metà italiani guadagna di più, metà meno. La classe media è quella che guadagna fra il 75 per cento e il 200 per cento del reddito mediano. Per una famiglia di quattro persone vuol dire stare nella forbice fra 21.979 e 58.610 euro l’anno di reddito disponibile. Ma lo spazio dentro la forbice si sta, per così dire, svuotando. Il 59 per cento dei baby boomers, i nati del dopoguerra, ci rientra. Per i millennials, nati dopo il 1985, la quota di classe media si restringe al 55 per cento.
La gente lo sa. Il 70 per cento degli italiani (ricchi compresi) pensa che i propri figli staranno peggio di come sono cresciuti. Ma le ansie non si limitano al futuro lontano. Oltre il 70 per cento dei componenti della classe media, come il carpentiere americano, faticano a mantenere il tenore di vita che ritengono coerente con il loro status. Di più, sentono slittare il terreno sotto i piedi, perché il 40 per cento della classe media galleggia a mala pena sui debiti: o è in arretrato con le rate, o non sarebbe in grado di affrontare una spesa imprevista o non reggerebbe un improvviso calo di reddito, ad esempio il licenziamento di uno dei componenti della famiglia.
In fondo, il terremoto politico degli ultimi anni non ha bisogno di molte spiegazioni in più. In Italia c’è un 20 per cento di persone che si vede, si percepisce come classe media, con quello che significa in termini di aspettative e di tenore di vita, ma non lo è affatto. E un altro 60 per cento che è, in realtà, classe media, ma non sa cosa si deve aspettare.
Maurizio Ricci