Conciona Alain de Benoist: “Se i sostenitori delle diverse varietà del socialismo non si sentono legati da nessuna delle esperienze concrete che li hanno preceduti- e soprattutto dalle più criminali fra di esse-non vedo perché la destra moderna, che respinge formalmente ogni tentazione totalitaria, dovrebbe recitare il mea culpa o giustificarsi. Di fronte alla prodigiosa faccia tosta dei sostenitori di una dottrina in nome della quale sono già stati massacrati centocinquanta milioni di uomini, e non per questo rinunciano a presentarsi, la mano sul cuore e la rosa nel pugno, come i difensori della libertà, essa risponda con una risata liberatoria- e tiri dritto per la sua strada”.
Il fondatore della Nouvelle Droite mette sul banco degli imputati la sinistra in tutte le sue declinazioni, comprese quelle riformiste, occidentali, socialdemocratiche, anticomuniste. Per lui le ombre inquietanti di Lenin, Stalin e Pol Pot si allungano anche su Jaures e Blum, Turati e Bernstein. Tradotto in linguaggio post missino: voi antifascisti non potete darci nessuna lezione di morale perché avete sulla coscienza le foibe e le vendette del dopo guerra.
In questi giorni, de Benoist arriva al salone del libro di Torino, introdotto da uno dei più stretti consiglieri del ministro Gennaro Sangiuliano. Una presenza che dovrebbe segnare un altro passo in avanti nella costruzione di quel “gramscismo di destra” teorizzato per primo proprio dal pensatore francese. È del tutto evidente come il richiamo al fondatore del Pci sia del tutto strumentale. Un’operazione metapolitica che cerca di affiancare la costruzione di una confusa egemonia culturale alla smodata occupazione dei posti decisionali. Combattere la sinistra “sul suo proprio terreno con un contropotere culturale, dotato delle stesse caratteristiche, della stessa strategia e delle stessi ambizioni”.
E allora, se questo è il clima, risulta illuminante riprendere in mano un libro, “La destra degli dèi” che al saggista francese ha dedicato uno studioso attento e preparato, Francesco Germinario. Sarà lui a guidarci nella selva oscura debenoistiana. Dove di Gramsci non troviamo proprio nulla, se non l’uso strumentale e capovolto di un’intuizione, brandita per dare l’assalto alle casematte della razionalità progressista. Incontriamo invece Nietzsche ed Evola, Rosemberg e Spengler, Guénon e Dumézil, Céline e La Rochelle. Con un forte afflato neopagano. E già, perché, questa la tesi di fondo, la colpa di tutto va addossata al monoteismo giudaico-cristiano. Dio è di sinistra, in quanto ha creato gli uomini a propria immagine e somiglianza “per natura tutti uguali nella loro dignità”.
Così, sostiene il Nostro, viene annullata ogni differenza, in nome di una prospettiva egualitaria, cosmopolita, universale che da Abramo e dalla predicazione paolina arriva ai soviet passando per i giacobini, l’ombra malefica di Rousseau, la Rivoluzione francese, Tolstoj, il liberalismo. “Ogni volta che si è voluto cambiare il mondo, lo si è reso peggiore. Siccome il risultato non era soddisfacente, lo si è voluto cambiare ulteriormente, ed è divenuto ancora peggiore. Tutta la storia dei due ultimi millenni è attraversata da questo: un rifiuto del mondo così come è, una volontà di cambiarlo, una corsa verso il peggio”.
La sinistra, in questa prospettiva messianica della felicità in terra e di una nuova era, è innaturale, tende ad un’uguaglianza che sfocia inevitabilmente nel totalitarismo. La Destra, premesso che, secondo il bizzarro polemista, queste due espressioni ontologicamente non hanno alcun senso, deve invece poggiarsi sul differenzialismo, cioè l’irriducibilità culturale di una razza all’altra. La terra, la tradizione, le radici, il rifiuto del divenire, “le patrie carnali”. E il paganesimo originale contrapposto al vagabondo Dio del Sinai “che preferisce lo schiavo, porge ascolto all’orfano e alla vedova, soccorre lo straniero”. I forti raccolgono i frutti della propria potenza mentre “i plebei non hanno che il culto dell’avvenire”.
Per propagare i suoi concetti, de Benoist ha creato il Grece (Groupement de recherche et d’études sur la civilisation européenne). Che ha come nemico principale l’americanismo, gli Stati Uniti, disgrazia per l’umanità tutta, punto di raccolta di profughi, reietti e sradicati. Demos e oro. Il capitalismo onnivoro. Il globalismo e il meticciato. Washington “capitale del neomarxismo”, dove è stata realizzata la società comunista, proprio come egli, Marx, se la immaginava. Delenda est, al pari di Cartagine.
Verrebbe da chiedere al nostro titolare della Cultura: tutte queste farneticazioni come si conciliano con la veste perbenista, cattolica e conservatrice che il governo vorrebbe indossare? E, soprattutto, che c’entra Gramsci?
Marco Cianca