Oggi, 15 ottobre, il giorno del green pass, obbligatorio in tutti i luoghi di lavoro, fabbriche, uffici, anche nelle case di civile abitazione. Un momento di difficoltà generalizzata, per diversi, noti, motivi. Al momento in cui scriviamo questa nota non sappiamo ancora cosa sta per succedere in tutta Italia. Le previsioni sono abbastanza negative, anche se ci ha rasserenato l’editoriale di Dario Di Vico sul Corriere della sera di ieri sulla tenuta del paese nelle sue diverse sfaccettature. Per capire un po’ di più sull’intera vicenda è però necessario osservarla su diversi piani, che si intersecano tra loro creando qualche problema. Il primo piano porta a osservare il problema sul piano economico sociale. Da questa mattina chi va a lavorare deve avere il green pass, se non ce l’ha resta a casa, senza stipendio. Il problema nasce perché un numero non limitato di lavoratori non ha il green pass e non lo vuole nemmeno avere. Si dice che siano 3 milioni, comunque non sono pochi. Il governo ha scelto la linea dura, chi non ha il certificato non ha scusanti: o resta a casa o si paga il tampone ogni due giorni. Le aziende per lo più si sono attenute a questa indicazione. Qualcuna ha cercato nella contrattazione una soluzione e in qualche caso l’ha anche trovata. Pagando il tampone o assumendosi una parte del costo, soluzioni che non rispondono al ragionamento del governo per cui chi non ha il green pass deve essere spinto ad accettarlo, ma comunque hanno fatto ottenere un po’ di calma in attesa di buone nuove. Comunque, la linea da tenere sembra proprio quella di non drammatizzare, il problema economico si può risolvere. Parallelamente è sorto il problema della violenza, da non sottovalutare assolutamente dopo gli episodi di sabato scorso, ma nemmeno da enfatizzare. Resta un problema di ordine pubblico e le autorità preposte sanno bene come regolarsi per mantenere in pace il paese senza cedere alla pressione dei più scalmanati.
Ma la situazione va analizzata anche da un altro punto di vista, da quello della morale. Perché il rifiuto del green pass non è solo la reazione di chi ha paura di un’iniezione, è la negazione della socialità. È il parto cattivo delle teorie che si sono rincorse nel paese negli ultimi anni dell’uno vale uno, dell’io che deve valere comunque e su tutti, della forza e dell’assoluta primazia del popolo, comunque esso si presenti o configuri o venga inteso da qualcuno, anche fosse il primo che passa per strada. Dal dopoguerra era la solidarietà a valere per tutti. Al di là degli italiani brava gente, c’era la voglia profonda di guardarsi attorno, verso chi sta peggio di noi, e di dargli una mano. La coesione sociale non è mai stata una moda passeggera, era connaturata nel nostro intimo. La crescita impetuosa del volontariato ne è la dimostrazione palmare.
In questa occasione non si è palesata. Quando si trattava di vaccinarsi tutti per sconfiggere il virus che ha causato 130mila morti e ci ha chiusi in casa per mesi, la gran parte della popolazione ha risposto positivamente; qualcuno, appunto dieci o quindici per cento, ha detto di no. Milioni di persone che in nome del proprio diritto non ha guardato al diritto degli altri o al suo dovere, che sta sempre accanto al diritto. E’, appunto l’io che si oppone al noi e vince. Non è una bella cosa, rappresenta la sconfitta di tante battaglie, il tramontare di un sentimento solidale che aveva le sue radici profonde nelle tante battaglie sociali e politiche che l’Italia ha combattuto e credeva di aver vinto. O meglio, aveva vinto, ma il nemico, l’egoismo di fondo, ha rialzato la testa. E allora, se al problema economico è facile rispondere con qualche rigore e altrettanta fantasia, come sempre accade nelle relazioni industriali, sul piano morale c’è da portare avanti un compito più difficile, per scardinare questa devianza del pensiero generale e far tornare in testa i sentimenti più buoni che abbiamo sempre avuto. Un’opera di moralizzazione che va fatta con grande attenzione, a tutti i livelli possibili, partendo naturalmente dalla scuola.
Questo ci porta al terzo livello di analisi del problema che si è posto al paese, il comportamento dei partiti politici. Perché, è evidente, è da loro che deve partire un nuovo corso che riprenda i temi della solidarietà e li faccia rivivere nel cuore di tutti noi. Sono loro che hanno alimentato le fantasie malate che hanno avvelenato il vivere comune, tocca a loro riprendere la retta via, portarci ancora dove eravamo. Impresa possibile? Certo non facile, anche perché le loro prese di posizione di queste settimane fanno disperare in un cambiamento. Chi ha volontariamente cavalcato l’onda della protesta, quando non l’ha generata, difficilmente cambierà repentinamente opinione o trasformerà la sua azione. Eppure questo sembra un passo obbligato, perché continuare così come si è andati avanti in questi ultimi anni, con questa profonde contrapposizioni, non è possibile. Sia chiaro, le differenze ci saranno sempre e non potrebbe essere altrimenti, ma il clima deve essere rasserenato. Devono tornare a vivere le ragioni profonde della politica, i valori di fondo dei partiti, non la lotta per il potere a qualsiasi costo. Le ragioni morali devono tornare a vivere e avere diritto di cittadinanza. Altrimenti non potremmo non trovarci presto a fronteggiare altre emergenze, magari senza nemmeno riuscirvi.
Massimo Mascini