Nel suo editoriale settimanale di venerdì 18 febbraio, il direttore Mascini disegna una sorta di mappa storica dei vari tentativi di unione/fusione delle varie sigle che rappresentano i lavoratori e i datori di lavoro.
L’occasione per questa mappatura, credo prenda spunto anche dalla preoccupazione espressa da Maurizio Landini alla conferenza di organizzazione della Cgil, circa i rapporti con Cisl e Uil. Tale preoccupazione, se non ho capito male, induce Landini a vagheggiare una unione/fusione delle tre sigle storiche sindacali in un unico soggetto.
Personalmente credo che la possibilità che ciò avvenga è pari ad una vittoria della nostra Nazionale di rugby nel trofeo “Sei Nazioni”; cioè non impossibile ma molto, molto improbabile (e forse neppure auspicabile). Fuori dalla metafora sportiva mi pare che non ci siano oggi e neppure in prospettiva, le condizioni storiche, politiche ed economiche. Faccio un passo indietro per spiegare il mio scetticismo.
Come tutti sanno, il patto sindacale unitario del 1944 era figlio della alleanza antifascista e non resse ai venti di guerra fredda che cominciarono a soffiare appunto appena finita la seconda guerra mondiale; già nel 1948 l’ accordo era carta straccia. Però questo (la guerra fredda) non basta a spiegare il perché di quella divisione e il fatto che la stessa non si sia mai sanata (come dimostra anche l’esperienza della Flm). La “frattura” tra Cgil è Cisl è qualcosa di più di un diverso riferimento politico o ideologico. La diversità è culturale e di approccio alle questioni d’affrontare, in fabbrica e fuori dalla fabbrica. Per la Cisl la regola è sempre stata quella del “piuttosto che niente è meglio piuttosto”. Una battuta certo, però figuratevi quanta compatibilità ci può essere tra chi gli accordi li firma e chi neppure si presenta al tavolo delle trattative. Il pragmatismo della Cisl è figlio di quella cultura non dogmatica e statalista, che affida alle parti sociali, al loro confronto, alla possibilità di raggiungere un’intesa, la ragione stessa della propria esistenza. Un sindacato che non contratta che sindacato è? Tanto per fare un esempio di come la Cisl pensava riguardo ai rapporti che regolano il mondo del lavoro, basta ricordare l’intemerata dell’allora segretario Bruno Storti che al grido, “Il nostro Statuto sono i contratti”, si oppose a quella che, nel maggio del 1970, sarebbe poi diventata la legge 300, più nota come “lo statuto dei diritti lavoratori”.
Non era una posizione aprioristicamente critica (la Cisl, in seguito, “sfrutto” appunto con grande pragmatismo lo Statuto), ma la consapevolezza che se il legislatore avesse messo mano alle norme che riguardavano il lavoro e i rapporti di lavoro, il rischio di un marginalizzazione del sindacato poteva esserci. Dopo Storti la spinta all’ originalità del ruolo e della proposta del sindacato fu confermata, giusto per citare qualche altro esempio, da Pierre Carniti con l’accordo di San Valentino (taglio della scala mobile e tutto quello che ne segui), da Franco Marini con l’accordo sul fiscal drag, da Sergio D’Antoni con gli accordi concertativi degli anni ’90 del secolo scorso (per dovere di verità, con la partecipazione di Uil e – con qualche sofferenza – della Cgil). Sia chiaro, sono tutti accordi fatti con i governi di turno (e le controparti naturali) e dunque nessuna “repulsione” nei confronti della politica, ma sempre con l’idea di contrattare. È opportuno anche ricordare che già nel 1953 la neonata Cisl “inventa” la contrattazione aziendale o decentrata o articolata o comunque la si voglia chiamare, che è e sarà un forte tratto distintivo, quasi un vessillo (non dico in “hoc signo vinces”, però siamo lì). Landini, dunque, fa bene a guardare al futuro, ma il futuro è banalmente il poi di un passato e di un presente e non solo inteso come lo scorrere del tempo. Il futuro è anche il lavoro che cambia, è il lavoro che scompare, è il lavoro che s’inventa, è la libertà d’impresa; insomma chiunque voglia intestarsi la rappresentanza del nuovo che avanza – anzi che già c’è – dovrà accettare, con grande pragmatismo, tutte le sfide che questo comporta. Carniti ripeteva spesso che se il sindacato fosse nato solo nell’autunno caldo non sarebbe sopravvissuto al primo inverno freddo; dunque ben venga tutto quello che può migliorare ed aumentare la rappresentanza del lavoro però nessuno speri di poter campare di un glorioso passato.
Valerio Gironi