“Quando c’era lui, i treni arrivavano in orario…” Il luogo comune, peraltro non vero, si riferisce a Benito Mussolini non certo a Matteo Salvini, che può essere considerato il legittimo erede del Duce, almeno per quello che dice e propaganda ma non fortunatamente per quello che fa, cioè pochissimo. In particolare nel suo ruolo di ministro dei trasporti, visto il disastro che negli ultimi mesi – tanti mesi – ha caratterizzato la nostra rete ferroviaria: un incidente dopo l’altro, ritardi pazzeschi e treni cancellati, passeggeri costretti a bivaccare nelle stazioni, ovviamente furibondi. E lui che fa, che dice? Ovviamente attribuisce la colpa a quelli che c’erano prima di lui, malgrado sia ministro da oltre due anni. Citando un vecchio e bellissimo film, “Gli intoccabili”, con Kevin Costner, Sean Connery e Robert De Niro, si potrebbe usare la famosa frase che De Niro nei panni di Al Capone indirizza a Costner che interpretava l’agente federale Eliot Ness: “Tutto chiacchiere e distintivo”. Peccato che invece, grazie a quelle chiacchiere e a quel distintivo, Capone venne arrestato e condannato per evasione fiscale a 11 anni di galera e finì nella prigione di Alcatraz.
Ora, Salvini non è Capone ma quanto a chiacchiere non è secondo a nessuno, quello che gli manca invece sono i fatti. L’unica cosa che ha fatto come ministro dei trasporti è il nuovo codice della strada, che peraltro ha solo peggiorato la vita di chi si trova al volante e aumentato le pene per chi ha bevuto un bicchiere di troppo qualche ora prima o ha fumato una canna anche una settimana prima di essere fermato dalla polizia. Per carità, giusto punire chi guida in uno stato di non lucidità, ma dovrebbe esserci un limite e soprattutto un pizzico di ragionevolezza: appunto le due caratteristiche che mancano a Salvini.
Il quale ne ha altre di caratteristiche, in particolare una che è ormai una sua idea fissa, maniacale, praticamente patologica: la cosiddetta sicurezza dei cittadini. Che tradotta significa più repressione per chiunque faccia qualcosa che il capo leghista considera sbagliata, da un corteo a un rave party, a fumare uno spinello. Oppure, peggio, a essere un immigrato clandestino, già arrivato in Italia o in procinto di sbarcare sulle nostre coste: ecco qui Salvini perde il lume della ragione, qualora ne abbia mai avuto uno, e farebbe qualsiasi cosa pur di impedire a questi stranieri di vivere, anzi di sopravvivere, nel nostro Paese. Oltretutto è stato da poco assolto appunto per aver bloccato per diverse settimane 147 migranti che erano stati salvati dalla Ong Open arms. “Il fatto non sussiste”, ha decretato il tribunale di Palermo, invece i migranti sussistevano eccome, in carne (poca) e ossa (tante). Ma tant’è, da questa sentenza il ministro ha riacquistato grinta e ha ricominciato a rivendicare per sé il Ministero dell’Interno, che almeno finora gli è stato per fortuna negato da Giorgia Meloni: tutto sommato l’attuale ministro Matteo Piantedosi è meno peggio di lui, il che è tutto dire.
Ma i guai di Salvini non finiscono qui, non esistono solo i problemi che riguardano il suo ruolo di governo, bensì anche quelli di leader della Lega. E’ evidente a tutti che il suo progetto di costruire una forza politica nazionale, sostituendo nel simbolo le due parole “Lega Nord” con altre due :”Salvini premier”, sia fallito. Infatti lui premier non è riuscito a essere e non ci riuscirà neanche in futuro, mentre la questione settentrionale resta quella cruciale per il suo (ancora per poco forse) partito. Tanto che ormai anche i governatori e i dirigenti leghisti del nord, a cominciare dal veneto Luca Zaia, non si sentono più “nei secoli fedeli” come i carabinieri, ma hanno cominciato a marciare per conto loro, anche a costo di opporsi agli ordini del Capo. Basti l’esempio del terzo mandato che il governo non intende concedere a nessuno, né a Zaia e né al campano Vincenzo De Luca (che dovrebbe essere del Pd ma in realtà ormai procede per conto suo e quasi sempre in rotta di collisione col suo ormai ex partito), che sta scatenando l’ira furiosa appunto di coloro che invece intendono ricandidarsi a dispetto della legge e del governo. Non è una bella situazione per Salvini, stretto nella morsa tra le sue radici, i “suoi” nordisti, e la fedeltà al governo di cui fa parte. Inoltre, sulla sua testa pende anche la questione della legge sull’autonomia differenziata, bandiera della Lega ma nient’affatto di Meloni, che è già stata smontata in molte sue parti dalla Corte costituzionale e che qualora venisse modificata e riapprovata da Parlamento, rischierebbe comunque di essere bocciata dal referendum voluto dalle opposizioni.
Insomma, “mala tempora currunt” per il nostro Matteo, il quale potrebbe essere costretto a dimettersi da segretario o addirittura a lasciare il governo. Anche se questa seconda opzione appare molto improbabile, visto che a quel punto cadrebbe l’esecutivo e si aprirebbe la strada a elezioni anticipate. Elezioni che sarebbero un trionfo per l’attuale premier e una disastrosa debacle per Salvini.
Riccardo Barenghi