Una bella ricerca sullo stato di salute del sindacato nel mondo, quella dell’Ilo (Organizzazione Internazionale del Lavoro). Molto approfondita, molto articolata e legata a dati quantitativi piuttosto che non a giudizi qualitativi a prescindere. Un rapporto, a firma Jelle Visser, che un sindacalista dovrebbe sempre tenere sott’occhio, non solo per decidere la rotta giusta da tenere nella sua attività quotidiana, ma anche per compiere scelte strategiche di innovazione. Insomma, il rapporto Ilo “I sindacati in transizione” è un documento di valenza congressuale per ogni sindacato almeno europeo: compresi quelli italiani. Questa la mia opinione.
“Declinare crescendo” aveva scritto Bruno Manghi alla fine degli anni 70. Ora l’antinomia si è rotta: l’Ilo descrive un “declinare calando”, in cui la riduzione delle adesioni è misurata al millimetro in tutte le aree del mondo. Una tendenza generata da vari fattori ormai globalmente diffusi seppure con intensità diverse: il crescente peso delle attività di servizio rispetto a quelle industriali, la disoccupazione femminile e giovanile con conseguente invecchiamento del sindacato, l’innovazione tecnologica e le trasformazioni del lavoro, la precarizzazione del lavoro (spesso mascherata da autonomia e non-dipendenza), la maggiore o minore “tutela” dei sindacati da parte delle istituzioni (e delle Costituzioni).
Tutto vero e innegabile.
Solo un’osservazione mi sentirei di fare a questa bella ricerca: che non tiene conto della crisi più generale (e più datata) delle “organizzazioni politiche di massa” del ‘900. Una crisi che ha generato la nascita del leaderismo sovranista da un lato e dei “movimenti” più o meno virtuali dall’altro. Una crisi che, almeno in l’Europa, influisce significativamente sulle dinamiche del sindacato. Non dico che la crisi delle organizzazioni del lavoro derivi dalla crisi dei partiti, anzi. Si potrebbe persino pensare che l’iscrizione a un sindacato ne è in parte un antidoto, se è vero che la tessera sindacale è ormai “compatibile” con l’appartenenza a una vasta gamma di organizzazioni politiche. L’identità politica è ormai una realtà “liquida”, per usare una parola di moda, quella sindacale no (o non ancora). Ma se il sistema delle organizzazioni politiche di massa è entrato in una crisi profonda dalla quale non sembra sapersi riprendere, è difficile immaginare che il sindacato possa esserne indenne. Si dovrebbe dire, per stare alla logica dell’indagine Ilo, che per tutto il ‘900 i partiti (almeno in Europa) sono stati un veicolo di conoscenza, adesione, rafforzamento e difesa delle organizzazioni sindacali, non solo i partiti di centrosinistra e di derivazione socialdemocratica. E che oggi senza quei partiti (e quelle appartenenze) il sindacato risulta più solo, lontano e indecifrabile non solo nei luoghi del nuovo lavoro, ma anche presso le istanze di Governo. Senza la crisi dei partiti non ci sarebbe stata la “disintermediazione” che abbiamo conosciuto in Italia: per quanto essa sia stata un modo di nascondere le debolezze della classe politica, anche se è stata pubblicizzata come una scelta di arrogante autosufficienza.
La ricerca Ilo non si limita a descrivere il declino delle organizzazioni sindacali nel mondo. Indica anche, con precisione documentata, quattro possibili soluzioni al problema: quattro scenari per il sindacato del futuro. La “marginalizzazione”, se il declino non verrà arrestato; la “dualizzazione” del sindacato tra grandi e piccole imprese, tra difesa del lavoro “classico” e difficile tutela del lavoro “nuovo”, tra settori pubblici e privati, industriali e di servizio; la “sostituzione” del sindacato classico con altre forme (meno strutturate) di rappresentanza sociale; la “rivitalizzazione”.
L’Ilo ci avverte che questi scenari sono già contemporaneamente in atto in molte aree del mondo. Che fare dunque?
Malgrado, almeno in Italia, il sistema di tutela contrattuale sia ancora relativamente efficace, non solo per le forme di lavoro classiche, malgrado la persistente consistenza numerica dei sindacati, malgrado siano tornati ad essere interlocutori delle istanze di governo (centrali e decentrate), anche qui si pone il tema enorme (congressuale, appunto) del che fare e del dove andare nel prossimo futuro: di come innovare la rappresentanza sindacale (e, di conseguenza, la sua attività contrattuale e la sua organizzazione).
Lasciamo, anche in questo campo, “le facili sintesi ai grandi improvvisatori” (come scriveva Mario Tronti negli anni 60 in “Operai e Capitale”). Temo però che ci sia un possibile quinto “scenario” da valutare, legato alla crisi della rappresentanza politica sopra richiamata. Se il lavoro non garantisce più i diritti di cittadinanza (per dirla in breve), se le diseguaglianze crescono nel mondo del lavoro e nel sociale, forse i confini della rappresentanza del lavoro vanno allargati ben oltre i luoghi (i non-luoghi) e le forme della prestazione lavorativa. Detto altrimenti: se c’è un vuoto della rappresentanza dei bisogni dei cittadini da parte della politica, il sindacato può immaginare di “rivitalizzarsi” a prescindere da questo vuoto? Senza allargare la propria sfera di analisi e rappresentanza dei bisogni oltre il mondo del lavoro vecchio e nuovo che sia? Io credo di no. Certo non da solo ma favorendo la costituzione di una rete di istanze sociali che rinnovi, “integri” e non “sostituisca” quella sindacale (come ipotizzato nel terzo scenario dell’Ilo). “Un sindacato dei cittadini” che persegue una rappresentanza più generale e non “solo” dei lavoratori: anche perché la sovrapposizione tra i due status (cittadino e lavoratore) non è più garantita dalla crisi economica e sociale in corso e il lavoro non è più in grado, da solo, di dare risposta ai bisogni dei cittadini, nemmeno a quelli economici.
C’è una metafora che può essere utilizzata per comprendere meglio il problema. Quella della “legge di gravitazione universale”. Ci spiega Newton che la capacità di attrazione di un corpo (tutti i corpi) aumenta in misura proporzionale alla sua massa e si riduce in maniera moltiplicata (al quadrato) all’aumentare della distanza dal corpo che si vuole attrarre. Detta altrimenti: può anche essere lento il calo delle adesioni ai sindacati (e quindi può persistere a lungo una loro dimensione ragguardevole) ma se ci si allontana anche di poco dai lavoratori, dai precari, dai giovani e dalle donne che non hanno lavoro, dai cittadini anziani che non hanno assistenza, dagli strati sociali marginali, dalle “non cittadinanze” sempre più diffuse (come quelle dei migranti e dei loro figli), il sindacato non sarà più in grado di attrarre nessuno. O meglio: attrarrà meno delle organizzazioni sociali più piccole che stanno tutti i giorni in mezzo alla gente, nelle città e nei territori.
P.s. Anche le associazioni delle imprese sono cambiate, convertendosi più su un sistema di servizi e tutele rivolte ai singoli associati che non alla loro rappresentanza collettiva (quella generale dei problemi del Paese non l’hanno mai ricercata). Anche per le associazioni delle imprese sono già in atto i quattro scenari di cui ci parla l’Ilo. E anche loro danno poca attenzione al quinto: quello della sensibilità verso i bisogni sociali.
Gaetano Sateriale