“Noi ragazzi del call center: i vucumprà del futuro” è il titolo di un forum aperto su Facebook. Ironia felice ed amara, figlia dell’identità contraddittoria di una nuova “classe” sociale emersa nell’era del tramonto delle altre classi sociali.
Precarietà contrattuale, carenza di diritti e di sindacalizzazione, assenza di un tracciato di crescita professionale: l’ultima delle classi sociali si definisce in negativo, per mancanza di ciò che ad altri è dato per certo. Elevata a simbolo dello sfruttamento dei giovani dalla realtà lavorativa (in molti casi) e da una certa retorica cinematografica e culturale, che rischia però di rendere definitiva nella nostra mente la fotografia (forse già vecchia) di una realtà che nasce straordinariamente mobile, perché insegue il mercato e i suoi bisogni.
Il futuro dei lavoratori dei call center è affidato ad un grande paradosso. Proprio dal mercato – “condannato a morte” in questi anni da quella retorica cineculturale, come mostro divoratore dei destini dei giovani addetti ai call center – stanno arrivando le speranze migliori per il riscatto dei nuovi vucumprà. Negli ultimi quindici anni è stato il mercato della nuova competitività globale a creare le condizioni perché nascesse “l’inferno” dei call center: spingendo violentemente verso il basso la barra dei costi del personale, flessibilizzando tutto ciò che non era core business, costringendo molte imprese alla scelta dell’outsourcing per i servizi di frontiera.
Ma il mercato è, per definizione, il luogo del cambiamento continuo. E i più recenti trend di mercato – nei principali settori dei beni di consumo e dei servizi – segnalano un fenomeno nuovo. Rovesciando le regole non scritte che avevano dominato finora l’era del consumismo, oggi la domanda prevale sull’offerta. In questa fase è la domanda che fa il mercato: comandano la capacità di spesa dei consumatori, la loro percezione del rapporto qualità-prezzo, la loro mappa dei bisogni, mentre diminuisce notevolmente la possibilità per le imprese di costruire nuovi mercati e nuove fasce di prezzo, di imporre ai consumatori nuove esigenze. Il fenomeno è figlio, in gran parte, della grande crisi e delle conseguenze che essa ha prodotto sulla domanda interna dei Paesi Occidentali. E ci consegna uno scenario tendenziale nuovo, fondato su una nuova “sovranità”: quella del consumatore. Più consapevole, più informato, più “imprenditore” nella gestione del proprio bilancio quotidiano.
Se questo fenomeno si consoliderà nei prossimi anni – anche al termine della notte buia della finanza e dell’economia occidentale – potrebbe avere ricadute importanti per i novelli vucumprà. Il consumatore sovrano andrebbe seguito, coccolato, soddisfatto in modo più “professionale” di oggi: la customer care potrebbe diventare una delle funzioni aziendali più strategiche e più “interne”, il cuore pulsante delle strategie commerciali d’ogni azienda che ha rapporti diretti con i clienti finali. Potremmo assistere, quindi, ad un processo di internalizzazione di questa funzione nelle grandi aziende e di valorizzazione di chi ne è protagonista: il caso Vodafone potrebbe rivelarsi l’alba di una “fase due” nella vita di mercato dei call center e dei suoi giovani operatori. Dall’inferno al paradiso, passando per il consumatore sovrano.
di Francesco Delzìo, autore di “Generazione Tuareg. Giovani, flessibili e felici”