Amintore Fanfani era piccolo ma fu un grande. Studioso di economia, politico di razza, riformista. Ma nell’immaginario collettivo viene ricordato non per i “Colloqui sui poveri”, le idee innovative a favore delle classi meno abbienti e il rivoluzionario piano casa, ma per aver guidato la Dc , insieme con il Msi, nella battaglia contro il divorzio. All’irruente e combattivo aretino venne appiccicata l’espressione “fanfascismo” e Dario Fo lo mise alla berlina nella commedia “Il Fanfani rapito”. Fu una sconfitta clamorosa, la prima che mise in discussione la centralità e la supremazia della Democrazia Cristiana. La legge Fortuna-Baslini era stata approvata nel 1970 e nel 1974 gli italiani furono chiamati alle urne dal fronte abrogazionista: vinsero i no alla soppressione con quasi il sessanta per cento.
L’anno dopo arrivò il nuovo diritto di famiglia con la parità giuridica tra i coniugi e la comunione dei beni, nel 1978 fu varata la legalizzazione dell’aborto (anche in questo caso la successiva consultazione referendaria vide prevalere i favorevoli). Era in atto una mutazione profonda, un cambiamento del costume che sulla spinta delle rivolte giovanili e dei movimenti femministi stava accompagnando la trasformazione della vecchia cultura confessionale in un Paese civile e moderno.
Ma già allora Pier Paolo Pasolini, sul Corriere della Sera, metteva in guardia da facili entusiasmi rimarcando che non era tanto la vittoria del laicismo e del progressismo quanto la sostituzione dei valori sanfedisti e clericali con quelli del consumismo. E avvertiva: “L’Italia contadina e paleoindustriale è crollata, si è disfatta, non c’è più, e al suo posto c’è un vuoto che attende di essere colmato”. Fu buon profeta perché quel vuoto non è stato riempito con altri e solidi principi valoriali e ora conquiste che sembravano acquisite una volta per tutte tornano in discussione.
Frammenti qua e là, che messi assieme come in un puzzle rivelano l’immagine di un incombente e non domo passato. Il linguaggio politicamente corretto si rivela come una ridicola cipria per imbellettare il volto della realtà. Di riffa o di raffa la donna resta, o ritorna, oggetto. E anche la violenza nei suoi confronti assume vecchie sfaccettature. Una sentenza ha arguito che se la vittima non è attraente difficile parlare di stupro e un’altra ha addotto come attenuante la tempesta emotiva, un modo per far rientrare dalla finestra il delitto d’onore.
Unioni civili, coppie gay, adozioni senza vincoli di genere: diritti ancora in bilico, fragili concetti minoritari sempre in discussione. La società della paura esige tetragone certezze. Gli studi di Ronald Laing e David Cooper hanno dimostrato come la famiglia possa essere il luogo dove nascono la repressione sessuale e la malattia mentale. E dove mogli e figli rischiano di essere sempre il soggetto debole. Eppure il sacro e indissolubile vincolo del matrimonio resta un incrollabile mito. Matteo Salvini, che ha sempre il rosario in tasca, vorrebbe riaprire le case chiuse. E un altro ministro leghista, Lorenzo Fontana, ha concesso l’imprimatur governativo al convegno internazionale sulla famiglia che si terrà a Verona dal 29 al 31 marzo. Toni da crociata contro la degenerazione dei costumi.
Pensavamo, con Bertrand Russell, che l’uso politico e strumentale della morale pubblica fosse uno strumento di dominio delle coscienze bandito dalle conquiste democratiche. E che la libertà personale avesse come solo confine quella degli altri individui. E invece il possesso, la sopraffazione, il ricatto scacciano la condivisione, la dolcezza, la complicità. Nelle tenebre del tradizionalismo, il fantasma di Amintore Fanfani non é cheto.
Marco Cianca