La questione è il tempo. Quanto a lungo la Costituzione può essere sospesa per fronteggiare la pandemia? La tutela della salute giustifica la sospensione di tutti gli altri diritti in un periodo illimitato? Marta Cartabia, il cui cognome è un richiamo profetico al ruolo che ricopre, non ha dubbi: le limitazioni delle libertà sono giustificate solo se adottate per un periodo ben definito. Ma siccome non sappiamo quanto durerà l’assalto del coronavirus, lo stato d’eccezione potrebbe trascinarsi per mesi. E anzi, nella paventata prospettiva di una seconda ondata, non avere una ragionevole fine.
“Nella carta costituzionale non si rinvengono clausole di sospensione dei diritti fondamentali da attivarsi nei tempi eccezionali, né previsioni che in tempi di crisi consentano alterazioni nell’ assetto dei poteri”, avverte la presidente dell’Alta Corte, anche lei nelle scorse settimane colpita dal Covid 19. Pur se poi ha precisato di non voler entrare nelle polemiche di questi giorni perché le sue osservazioni, scritte durante la convalescenza, sono contenute nella relazione annuale sull’attività della medesima corte, non vi è dubbio su quale sia il contesto. “La Repubblica ha attraversato varie situazioni di emergenza e di crisi che sono stati affrontate senza mai sospendere l’ordine costituzionale, ma ravvisando al suo interno gli strumenti idonei a modulare i principi costituzionali in base a specifiche esigenze”, è il suo auspicio che, pensiamo, ha avuto il pieno placet di Sergio Mattarella.
Il monito a non travalicare i dettami dei nostri padri fondatori è ben chiaro. E se non bastasse, vanno aggiunti gli allarmi lanciati da insigni giuristi come Sabino Cassese e Giovanni Maria Flick sull’uso improprio dei Dpcm, i decreti della presidenza del Consiglio dei ministri, e delle successive circolari interpretative.
Lo storico Piero Ignazi è stato tra i primi a mettere in guardia dalla fascinazione di una dittatura paternalistica: “Questa situazione eccezionale introduce un sottile veleno nel nostro sistema di cui meglio essere coscienti fin d’ora, quello dell’invocazione di uno stato, forte nonché etico, che veda e provveda per tutti noi”.
“Nessuno può negare la difficoltà che il governo deve affrontare. Ma proprio perché la materia e la situazione sono gravi, si può chiedere un cambio di registro. È l’equilibrio del sistema che deve essere rapidamente ritrovato”, auspica con autorevole preoccupazione Vladimiro Zagrebelsky.
Constata Stefano Folli: “Una settimana dietro l’altra e un passo dopo l’altro, il ventaglio di alcune libertà fondamentali, e soprattutto delle garanzie, si è ristretto in nome dell’emergenza. Quasi tutto è avvenuto nella penombra normativa, senza un intervento del Parlamento, ormai di fatto esautorato, attraverso una sequela di decreti del presidente del consiglio che come tali non devono essere firmati dal Quirinale e non passano il vaglio delle due Camere”.
Di fatto, sono i poteri forti che Matteo Salvini invocava nell’agosto scorso dalla spiaggia del Papeete, innescando la crisi che ha portato al ribaltone politico e alla nascita della nuova maggioranza con il Pd a posto della Lega. Ecco il punto. Per una beffa della storia, tragica beffa considerato il numero dei morti, proprio l’esecutivo sorto per preservare le Istituzioni e difendere la nostra appartenenza alla comunità europea, è stato costretto ad usare quelle scorciatoie decisionali che si volevano esorcizzare.
La motivazione è chiara: non si poteva fare altrimenti. E i sostenitori degli attuali equilibri aggiungono che se in autunno si fosse votato e a Palazzo Chigi fosse entrato trionfalmente Salvini, ora saremmo alla deriva, ai margini se non proprio fuori dalla Ue, con l’esplosione del debito pubblico e magari sull’orlo di una guerra civile, destinati a diventare una nazione chiusa in sé stessa, ridicola e irrilevante. Meglio l’avvocato con la pochette a quattro punte che l’arruffapopoli dal truce ghigno.
Tesi condivisibili ma il pericolo è che si crei un precedente e che la strada dell’eccezionalità possa essere imboccata un domani, dopo aver provocato una strumentale ondata emotiva, per chiudere di nuovo i porti, ordinare l’espulsione di tutti gli immigrati, togliere ogni limite alla legittima difesa, liberalizzare la vendita delle armi, proclamare che l’apologia del fascismo non è un reato ma anzi una benemerenza. E magari, dulcis in fundo, decretare il ritorno alla lira.
Fantapolitica? Certo, ma gli incubi possono diventare realtà se non li si scaccia via subito. Non regge la teoria del male minore perché è sempre un male. Non esistono il dittatore buono e quello cattivo. Chi stabilisce, di volta in volta, la bontà e la cattiveria? Il giudizio lo si dà sulla base delle proprie idee e del proprio personale tornaconto o convenienza del momento? Commercianti, artigiani, baristi, ristoratori, parrucchieri applaudirebbero chi disponesse subito la loro riapertura in spregio alla necessaria prudenza? Le regole democratiche superano la soggettività degli interessi, bilanciano le richieste delle maggioranze con le istanze delle minoranze, sono faticose ma ineludibili. A meno che si consideri il popolo, parafrasiamo il teorico del decisionismo Carl Schimitt che poi aderì al nazismo, come un gregge di pecore da condurre in un recinto con la scusa di proteggerle dal lupo cattivo.
L’opposizione all’attuale esecutivo, e anche i suoi critici interni come Matteo Renzi, esigono il ritorno alla centralità di Camera e Senato. Siamo all’incredibile. I l Parlamento invocato come il luogo supremo delle scelte proprio da coloro che ne hanno sempre criticato regole e composizione. Non si può dimenticare che, se non ci fosse stata la paralisi da Coronavirus, il 29 marzo avremmo votato, in un generale tripudio, per il taglio dei nostri rappresentanti da 945 a 600 (200 senatori e 400 deputati).
Servirebbe un minimo di coerenza e l’opinione pubblica dovrebbe essere meno smemorata. È dai tempi di Tangentopoli che Montecitorio e Palazzo Madama vengono indicati come il covo di immorali privilegiati, i Palazzi della corruzione, del mercimonio, della nequizia. Un giudizio che fermenta nella pancia del Paese. Perché loro continuano a prendere laute indennità anche in questo periodo mentre noi siamo alla canna del gas?, è una delle tante accuse che rimbalzano sui social.
Che fare? Conte e i suoi ministri trovino il modo per riportare le necessarie e ineludibili scelte in un alveo di piena legittimità e massima condivisione, magari cancellando al più presto il mortificante obbligo dell’autocertificazione (sembra che la stessa ministra degli Interni Luciana Lamorgese sia di questa opinione) e concentrando i controlli sull’obbligo della mascherina e sul rispetto della distanza sociale. E sblocchino al più presto l’immissione di liquidità, sradicando tutte le pastoie burocratiche e obbligando le banche ad erogare i soldi promessi. Questo sarebbe un provvedimento coraggioso, da prendere persino con un ultimo famigerato Dpcm.
La democrazia va innaffiata con la fiducia e la disponibilità.
Marco Cianca