L’applauditissimo intervento del ministro dello Sviluppo all’assemblea di Confindustria accende la fantasia: si candida, ma a cosa? Parole, pensieri e prospettive del ‘’Macron’’ Italiano.
Ci sarebbe l’Assemblea di Confindustria, ma oggi la notizia, come si dice, e’ un’altra. La notizia e’ Carlo Calenda, che salito sul palco per quello che avrebbe dovuto essere il rituale ntervento del ministro dello Sviluppo, ottiene invece dalla platea degli industriali l’applauso più fragoroso, lungo e sentito della giornata. E lo ottiene su un ragionamento che con l’economia ha pochissimo a che fare, mentre ne ha, molto, con la politica: il clou del suo discorso affronta temi come la legge elettorale, le elezioni anticipate, le riforme mancate, e, per dirla semplice, caccia anche le dita negli occhi a Matteo Renzi.
Calenda inizia la parte politica del suo intervento annunciando: “sfaterò alcuni tabù”. E aggiunge: ‘’che dio me la mandi buona’’, consapevole che quello che dirà non resterà senza eco nelle speculazioni politiche dei prossimi giorni. Dunque, prima stoccata: no alle elezioni anticipate (come invece vorrebbe il Pd, che punta al voto tra settembre e ottobre), dice Calenda, perché alle elezioni “bisogna arrivarci nei tempi giusti, evitando l’esercizio provvisorio, dopo aver completato la ricapitalizzazione delle banche in difficoltà e con una legge elettorale che dia, non diciamo la certezza, ma la ragionevole probabilità della formazione di un governo riducendo la frammentazione del sistema politico”.
Seconda stoccata: “Fino all’ultimo giorno utile (e quindi aprile-maggio 2018, ndr) dobbiamo continuare a lavorare sull’agenda delle riforme, mantenendo una collaborazione forte e trasparente tra i partiti di maggioranza e l’ esecutivo”. In altre parole: il Pd non faccia scherzi a Gentiloni.
Terza stoccata: per “esprimere queste opinioni” Calenda precisa che ‘’non occorre prendere una tessera di partito. Lo spazio della discussione pubblica non è riservato ai politici di professione, e non ne sono esclusi nè i cittadini nè i ministri tecnici, qualsiasi cosa questa qualifica voglia indicare. Io e il ministro Padoan ci stiamo ancora interrogando su questa definizione: una volta possedere ‘tecnica’ era considerata una cosa positiva, oggi abbiamo capito che puo’ anche essere un grande gap’’. A questo punto la platea confindustriale, sonnacchiosa e fredda per tutta la mattina, si risveglia entusiasta e tributa al giovane ministro dello Sviluppo Economico se non una standing ovation, qualcosa che le assomiglia molto. Applaude, in prima fila, anche il ministro Padoan, chiamato in ballo direttamente dal passaggio sui ‘’tecnici’’.
La parte politica e’ quella che ha creato maggior scalpore, ma nel discorso del ministro c’e’ anche una lunga e dettagliata analisi economica, di quello che occorre fare, o non fare, per rilanciare la crescita. Il succo e’: ‘’salviamo il liberismo dai liberisti ideologici”. E dunque, no al protezionismo, ma “assertività nella difesa da comportamenti scorretti o predatori”. Gli investimenti esteri, ovvero le acquisizioni, sono fondamentali per far crescere l’Italia. Ma altra cosa è “subire operazioni opache o predatorie che possono paralizzare la gestione di un’azienda o depauperare il patrimonio tecnologico del paese”. Su Industria 4.0: “ deve diventare strutturale, vedremo in quali forme”. Sul lavoro, annuncia che assieme al collega Poletti si sta lavorando “a un piano lavoro e welfare 4.0 da presentare alla prossima cabina di regia” e aggiunge: “il contributo dei sindacati sarà essenziale in questo ambito”. Sull’Europa: “nessun paese quanto l’Italia ha bisogno di un’Europa forte e coesa. Il nostro compito è spiegarlo ai cittadini e non sarebbe impossibile se smettessimo di accarezzare l’antieuropeismo invece di combatterlo a viso aperto”. E del resto, l’Europa attuale “è quella che abbiamo costruito anche noi, e se vogliamo cambiarla lo dobbiamo fare con più proposte, meno proteste e maggiore presenza nei luoghi dove si decide”.
Non teme nemmeno, Calenda, di affrontare il tabu’ dei tabu’, cioe’ le riforme costituzionali: ‘’dopo il 4 dicembre l’argomento e’ sparito dal dibattito politico, ma i problemi non sono spariti, e prima o poi andranno risolti. A partire da una supremazia dello stato sui veti delle autorita’ locali quando in ballo c’e’ un interesse nazionale’’. Quanto al fronte del No al referendum, ricorda che gli oppositori ‘’prospettavano soluzioni all’indomani del voto, ma ovviamente non si e’ vista l’ombra di una proposta’’. E ancora: nazionalizzazioni no, privatizzazioni si, anche perche’ ‘’quando la politica ha il controllo totale su una azienda i risultati non sono lusinghieri, vedi la RAI”. Reddito di cittadinanza: non se ne parla. Riforme del processo penale, diritto fallimentare: urgenti. Cosi’ come urgente e’ la legge sulla concorrenza: ‘’non una mia legge’’, che tuttavia va difesa e approvata, e dovrebbe rappresentare un punto fondamentale, “ il DNA di una coalizione di governo a guida riformista’’.
Con un discorso cosi’ ricco, ovvio che nel dopo partita i commenti dello spogliatoio, diciamo cosi’, siano tutti sul ministro. Complice anche una relazione insolitamente debole del presidente Boccia, che non offre grandi spunti di discussione, tanto che qualcuno, malignamente, osserva: ‘’la vera relazione era quella di Calenda’’. Ma c’e’ di piu’, in realta’. Nel foyer dell’Auditorium, tra gli industriali, e’ tutto un interrogarsi sul senso dell’intervento che hanno appena applaudito con entusiasmo: nessuno ha dubbi che si sia trattato di un discorso, ben meditato, di candidatura, ma a cosa? Alla guida del paese, si direbbe, dall’ampiezza dei temi trattati, e dal modo in cui sono stati esposti; ma l’Italia non e’ la Francia, e il nostro sistema elettorale (?) ammesso che prima o dopo (?) ne avremo uno, non lascia alcuno spazio a un eventuale Macron nostrano, come gia’ viene ribattezzato il ministro dello Sviluppo. Senza un partito alle spalle in Italia non ci si candida, e Calenda ha appena rivendicato con orgoglio il suo ruolo di tecnico e il diritto di non possedere tessere di alcun colore.
Dunque? La battuta che si coglie nel foyer -‘’fara’ il partito degli industriali’’- e’ per l’appunto una battuta e basta: pur senza scomodare il ‘’sentimento anti industriale’’ che anche oggi Boccia lamenta scorrere nel paese, resta che l’unico industriale che e’ riuscito a candidarsi senza avere un partito, riuscendo a vincere le elezioni in pochi mesi, e’ Silvio Berlusconi; ma aveva Publitalia, la Finivest, tre Tv e un sacco di miliardi da spendere. Calenda non ha nulla di tutto questo. Renzi, qualche settimana fa, interpellato al proposito, ha risposto che il ministro dello Sviluppo ‘’sarebbe un ottimo candidato per il centro destra’’. Dove tuttavia ci sono gia’ parecchi galli in un pollaio che alla fine non e’ poi così ampio.
E pero’, c’e’ una situazione che consentirebbe a Calenda di arrivare a Palazzo Chigi direttamente, senza passare per le urne. Ed e’ il caso (molto probabile) in cui dalle prossime elezioni non esca una maggioranza netta, ma un mezzo risultato che richiederà una alleanza tra centro destra e Pd; esito del quale lo stesso Berlusconi, nei giorni scorsi, si e’ detto certo. In questo caso, dovendo trovare qualcuno piu’ o meno superpartes in grado di tenere assieme la baracca, uno che sappia parlare alle imprese piacendo anche ai sindacati, che riesca a dire cose ‘’di destra’’ facendosi ascoltare con interesse anche a sinistra, ecco: un Carlo Calenda, con il suo “liberismo pragmatico”, potrebbe essere la soluzione ideale.
Nunzia Penelope