l’INPGI 1 (la Cassa previdenziale dei giornalisti, in regime di privatizzazione, la sola del lavoro dipendente) entrerà, dal prossimo 1 luglio, nell’ambito del Fondo previdenziale dei lavoratori dipendenti (FPLD) presso l’INPS che è l’architrave del sistema pensionistico obbligatorio. Lo stato di squilibrio strutturale avrebbe dovuto – secondo il dlgs n.509 del 1994 – portare ad un commissariamento triennale dell’Istituto allo scopo di rimettere in sesto i conti. Nel caso in cui l’operazione risanamento si fosse rivelata impossibile, il ministro del Lavoro avrebbe dovuto nominare un altro commissario per procedere alla liquidazione coatta. L’incorporazione dell’INPCI 1 nell’ambito del disegno di legge di bilancio è un atto di riguardo nei confronti del mondo dell’informazione, anche perché l’ente non viene soppresso ma resterà in funzione per gestire l’INPGI 2 la Cassa a cui sono iscritti i giornalisti autonomi, i collaboratori, in sostanza quel mondo del precariato scaturito non solo – come si dice – dalla crisi dell’editoria, ma soprattutto dalle profonde trasformazioni tecnologiche ed organizzative che hanno sconvolto le modalità della comunicazione e spaccato in due il mercato del lavoro ben più che in ogni altro settore. Peraltro l’INPGI 2 è il solo comparto che vanta ancora un piccolo avanzo di bilancio, per gli stessi motivi che riguardano – più in grande – la stessa della Gestione separata presso l’INPS: sono ancora poche le pensioni erogate a fronte delle entrate contributive. Il governo non ha voluto infierire, anche perché l’Istituto – come le altre Casse dei libero-professionisti – godeva di uno status di autonomia vigilata e il Ministero del Lavoro ha approvato le proposte di riordina di volta in volta decise dagli organi interni. Poi, l’INPGI 1 era strenuamente difeso dalla categoria e dalla FNSI che, peraltro, riceveva un contributo per un servizio reso sul territorio. Ci sono state lettere aperte al Presidente della Repubblica che invocavano l’indipendenza dell’INPGI come presupposto (sic!) della libertà di stampa. Poi “più che il dolor potè il digiuno”. I giornalisti sono stati gli ultimi a prevedere l’applicazione – pro rata – del regime contributivo (dal 1° gennaio 2017). Così si portano nel Fondo lavoratori dipendenti presso l’Inps fino al 30 giugno 2022 il calcolo ai fini della pensione previsto dalle regole INPGI, mentre quelle del Fpld si applicheranno pro rata dal successivo 1° luglio. Lo stesso principio si applica anche per altri aspetti come il massimale contributivo e pensionistico stabilito nel sistema introdotto dalla riforma del 1995. Taluni – tra cui Tito Boeri – hanno criticato quest’operazione; ne riportiamo per correttezza le parole: “non è tollerabile che scelte sconsiderate ricadano una volta di più sulle spalle dei giovani”. Poi l’ex presidente dell’Inps ha ritenuto corretto che, a compensazione dei privilegi, vi fosse un taglio delle prestazioni. Il Centro studi “Itinerari previdenziali” – con più di 67mila euro lordi nel 2019 pari al 73% della retribuzione media – colloca al terzo posto la pensione media dei giornalisti nella gerarchia dei trattamenti. Chi scrive avverte l’arrivo di un attacco di orticaria quando sente pronunciare le parole “pensioni d’oro”. E non preconizza tagli di prestazioni erogate secondo le norme vigenti, anche perché ci hanno insegnato a distinguere tra l’errore e l’errante (ovvero tra l’INPGI e i giornalisti). Ha trovato però indecoroso – nel dibattito aperto – che nel difendere le loro pensioni i giornalisti abbiano usato gli stessi argomenti che proprio loro. Da decenni, sono soliti ridicolizzare e svillaneggiare quando vengono sostenuti da altri (“come osano i parlamentari difendere i loro vitalizi!”). Vediamo, però, di dare un contributo – pacato – alla verità dei fatti. La ricostruzione parte all’indomani della “privatizzazione” dell’INPGI (il già ricordato dlgs n. 509/1994). L’allora presidente dell’INPGI Gabriele Cescutti – una personalità storica nel mondo della previdenza dei giornalisti- in un intervento sul Corriere della Sera (mica su di un bollettino parrocchiale) spiega (si veda allegato 1) perché è conveniente passare all’INPGI e che comunque resta la possibilità di andare a ripararsi all’INPS. Quali sono i solidi argomenti pro INPGI che Cescutti definisce “vantaggi”? 1) L’INPGI, che rivendica di essere l’antesignano della battaglia per la privatizzazione, mantiene il regime retributivo per gli iscritti di qualunque età, mentre nell’INPS questo trattamento è riservato a coloro che hanno più di 18 anni di versamenti alla fine del 1995; 2) è più redditizia l’aliquota del rendimento annuo (2,66 % a scalare nell’INPGI a fronte del 2% a scalare dell’INPS); 3) ciò significa che 30 anni di contributi INPGI risultano equivalenti, ai fini del calcolo della pensione, a 40 dell’INPS; 4) nel sistema contributivo INPS vengono calcolate tutte le annualità mentre in quello retributivo INPGI le peggiori non sono calcolate; 5) essendo l’andamento del Pil (assunto come criterio di rivalutazione dall’INPS) imprevedibile vi è incertezza sull’importo della prestazione.
Tralasciamo il vanto a suo tempo sbandierato di farsi carico delle altre prestazioni previdenziali minori (cig, ds ecc.) che oggi vengono incolpate di aver provocato il dissesto finanziario. Eppure è quanto era tenuta a fare una gestione sostitutiva.
Infine dopo aver glorificato i meriti dell’INPGI (leggere per credere) Cescutti avverte l’esigenza di rispondere (excusatio non petita) a una domanda. Che cosa succederebbe in caso di dissesto dell’INPGI? Il presidente si dilunga per spiegare che questa è solo un’ipotesi teorica, ma che, comunque, se si verificasse, i giornalisti sarebbero tutelati da quanto prevede l’articolo 38 Cost. “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”. Quindi ci sarebbe stato comunque il soccorso dell’INPS (come è annunciato nel titolo). Tornando a bomba, la seguente tabella presa dalla Relazione tecnica del ddl bilancio dà contezza di quanto costerà alla collettività la “salvezza” dell’INPGI 1, preceduta dalla avvertenza della RGS che ha “bollinato” la Relazione.
Ma il tono di sufficienza (possiamo dire di arroganza?) è una caratteristica dei presidenti dell’INPGI. Il 20 dicembre 2011 Andrea Camporese replicò al ministro Elsa Fornero – la quale aveva sollevato riserve sulla sostenibilità delle Casse a partire dall’INPGI – che le sue erano affermazioni gravissime, infondate, dettate da una mancata conoscenza dei problemi (allegato 2). E se quelle dichiarazioni corrispondevano ad un preciso disegno – ecco la congiura, ndr – sarebbe stato corretto venire allo scoperto. Il ministro ha avuto ragione 10 anni dopo. E nessuno le ha chiesto scusa.
Giuliano Cazzola