Il teatro, come dice il filosofo Carlo Sini, è una “parte di mondo che replica il mondo, che lo dà a vedere come corpo in azione”, ossia la rappresentazione dell’agire umano attraverso la finzione scenica. Istruire il “dramma” (etimologicamente, l’azione), coinvolgendo corpo ed emozioni, vuol dire mettere in scena spaccati esistenziali da cui trarre consapevolezza di sé, di ciò che siamo, della nostra ambiguità, ma anche delle possibilità di trasformarci e trasformare il mondo, “al fine di ricreare”, chioserebbe Bertolt Brecht.
Il teatro, come diceva il grande pedagogista Riccardo Massa, è metafora dell’educazione nella prospettiva di denudarsi, esplorare, rappresentare, interpretare, rielaborare, riprendere in mano la propria vita. Un nobile nesso, quello tra teatro e educazione, lungi dalla pratica perversa di utilizzare le tecniche teatrali (?) a fini addestrativi, che costituisce uno dei pilastri fondativi, da oltre quindici anni, della formazione della FIM nazionale per i dirigenti e i delegati sindacali. Con l’obiettivo di destinare attenzione educativa alla loro dimensione emotivo-affettiva per abilitare a un “mestiere” che ha come compito primario quello della cura della relazione intersoggettiva, infrastruttura sociale della rappresentanza e rappresentatività del sindacato nei luoghi di lavoro.
Aumentare le possibilità di incontro con le soggettività plurali è possibile curando quei regolatori dell’affettività umana che lo psicanalista Franco Fornari ha definito i codici affettivi (materno, paterno, fraterno, ecc.) dei quali ogni persona, maschio o femmina è portatore, e la cui piena attivazione dipende dai percorsi educativi che sin da bambini si frequentano.
La formazione FIM ha in questi anni particolarmente investito sull’educazione sentimentale, accompagnata da quel pensiero sulla differenza di genere che segnala un deficit in ambito pubblico, politico, e nelle organizzazioni, di codici relazionali tipici del femminile: dono, accoglienza, ascolto, cura. Nel 2005 la filosofa Elena Pulcini, intervenendo a un corso dirigenti FIM sottolineò come la sfera pubblica proprio per tale ragione fosse poco accogliente delle donne, ricacciandole nel focolare domestico insieme al loro codice affettivo in favore di un’assimilazione dell’altro e della differenza ai codici maschilisti e paternalisti, strumentali e utilitaristici.
Per scardinare il pensiero dominante non è tuttavia sufficiente il solo esercizio intellettuale e cognitivo, ma si tratta di mettere al mondo una diversa cultura e pratica delle relazioni, e perciò dei potenti ri-costruttori della con-versazione educativa e del setting formativo, tra i quali l’educazione sentimentale e il teatro. Un percorso di discontinuità formativa intrapresa dalla FIM creando nella formazione un laboratorio teatrale permanente denominato “Il mestiere dell’emozione”, che poggia sull’alleanza teatro-educazione-neuroscienze e si avvale della guida artistica del drammaturgo, regista e attore Thomas Otto Zinzi, e della ricerca ed elaborazione dello psicologo ed esperto di scienze cognitive, Ugo Morelli.
I risultati di questa sperimentazione, rispetto agli obiettivi, sono incoraggianti, addirittura straordinari ascoltando il racconto dei sindacalisti che in sede di verifica sottolineano quanto il laboratorio teatrale, benchè il mettersi in gioco procuri ansia e timori, offra la possibilità di auto-osservarsi, di esprimere e conoscere meglio sé stessi e il proprio modo di vivere le emozioni, e di affinare quelle capacità relazionali, di ascolto, di immedesimazione nell’altro/a, molto importanti per creare linguaggi della rappresentanza all’altezza della contemporaneità.
Il punto più alto di tale sperimentazione è stato realizzato recentemente in Piemonte dove la FIM regionale, nel segno dell’innovazione formativa, ha voluto ospitare per il terzo anno consecutivo il format teatro-educazione creato in questi anni dalla FIM nazionale. Con un progetto ancora più ambizioso: portare sulla scena organizzativa e della rappresentanza sindacale le donne, con la loro differenza e specificità, mancante quanto irrinunciabile per la trasformazione sociale. Protagoniste: sedici delegate sindacali FIM.
Provando a superare il linguaggio convegnistico sulla questione di genere, l’idea è stata quella di portare in primo piano, attraverso monologhi e dialoghi affidati alle partecipanti una narrazione del mondo al femminile. Ne è scaturita una partitura drammaturgica su “Il codice mancante” che nel ri-attraversamento di storie soggettive e collettive, personali e sindacali, emozionante e impegnativo, a volte doloroso, è diventata una scrittura di scena di gruppo. Delle donne. Capace di parlare innanzitutto a sé stesse, per riconoscersi tra loro, quindi, nella rappresentazione finale, all’organizzazione, proponendo con un linguaggio poetico – e perciò radicalmente politico e antiretorico – l’approdo alla corresponsabilità di uomini e donne nel far vivere, riscrivendo insieme il lessico organizzativo e politico, il codice materno.
Con la sapiente regia artistica di Thomas Otto Zinzi, le donne delegate della FIM, attraverso l’azione teatrale hanno trasformato un canovaccio drammaturgico contenente testi di donne protagoniste nella vita civile e di importanti figure femminili presenti nella drammaturgia più alta, in un discorso sul “codice mancante” come fattore critico dell’esistente e rigenerativo delle relazioni e dei mondi vitali. Evocando quella straordinaria pagina della drammaturgia italiana rappresentata dal teatro delle donne. Che nacque proprio con l’intento di mettere in scena il valore della differenza e offrire uno sguardo nuovo, non asessuato, sul mondo. Un teatro che, come scrive Maria Morelli, esperta di drammaturgia femminista impegnato nel “recupero della specificità femminile—il dato biologico dell’essere donna—finalizzato alla creazione di un nuovo ordine simbolico, ossia di un nuovo sistema di significazione che consenta la soppressione di qualsiasi logica di assimilazione all’Altro”.
Rosario Iaccarino