Sono passati solo quattro giorni dall’insediamento di Donald Trump ma gli impegni e le promesse assunti dal nuovo presidente degli Stati Uniti sono molti e impattanti. Tra questi il maxi piano di investimenti da 500 miliardi di dollari nel programma Stargate per rendere gli Usa leader nell’intelligenza artificiale.
I dati Eurostat certificano una crescita nell’uso dell’IA nel mondo del lavoro. Nel 2024, il 13,5% delle imprese dell’Ue con 10 o più dipendenti ha impiegato le tecnologie di intelligenza artificiale per la propria attività, un aumento di 5,5 punti percentuali rispetto al 2023. Danimarca (27,6%), Svezia (25,1%) e Belgio (24,7%) sono i paesi che vantano le percentuali più alte di imprese con 10 o più dipendenti che utilizzano le tecnologie di IA. In fondo alla classifica si piazzano Romania (3,1%), Polonia (5,9%) e Bulgaria (6,5%). L’Italia si ferma all’8,2%, seppur in crescita di tre punti percentuali rispetto al 5,05% registrato nel 2023.
Tutti i paesi dell’Ue hanno registrato un aumento della quota di imprese che utilizzano le tecnologie di intelligenza artificiale rispetto al 2023, con la Svezia che ha registrato l’aumento più elevato (14,7%), seguita da Danimarca (+12,4%) e Belgio (+10,9%). Al contrario, aumenti modesti sono stati registrati in Portogallo (+0,8%), Romania (+1,6%) e Spagna (+2,1%).
Informazione e comunicazione è il settore in cui l’IA è stata utilizzata di più nel 2024 (il 48,72% delle imprese), seguito dal settore dei servizi professionali, scientifici e tecnici (con il 30,53%). In tutte le altre attività economiche, la quota di imprese che adottano l’IA è inferiore al 16%. La percentuale varia dal 15,45% (attività immobiliari) al 6,09% (alloggi e costruzioni).
Per quanto riguarda il tipo di tecnologia IA usata, l’analisi del linguaggio scritto (text mining) è stata la più impiegata, adottata dal 6,9% delle imprese. La seconda tecnologia è la generazione di linguaggio scritto o parlato (generazione di linguaggio naturale), utilizzata dal 5,4% delle imprese. Seguono la conversione del linguaggio parlato in formato leggibile dalla macchina (riconoscimento vocale), utilizzata dal 4,8% delle imprese (+2,2%).
Del rapporto tra lavoro, relazioni industriali e IA si è discusso al Cnel nel corso dell’evento organizzato a Roma da Villa Davide Lubin e il Comitato economico e sociale europeo, che ha visto la partecipazione di esperti e studiosi. In apertura dei lavoro Renato Brunetta, presidente del Cnel, ha lanciato “un Osservatorio – che chiameremo Opera – finalizzato alla creazione di un database di casi aziendali di applicazione dell’IA di tipo partecipativo, cioè che prevedano il coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti finali e delle comunità nei processi di sviluppo, implementazione e utilizzo”
Guardando al mercato del lavoro italiano, il 6,16% degli annunci postati su Linkedin tra il 15 maggio 2024 e il 15 gennaio 2025 richiede esplicitamente competenze legate all’intelligenza artificiale, 30.120 su 488.965. Sono alcuni dati dell’iniziativa ‘Al 4 Work: Verso un manifesto per l’intelligenza artificiale e il lavoro in Italia’ presentati dal ceo di The European House – Ambrosetti, Valerio De Molli. Nella sua analisi De Molli ritiene che l’impatto dell’IA sull’occupazione non sia così negativo. A parte alcuni settori, come manifattura e agricoltura, dove c’è stata una riduzione del 13 e del 25%, gli altri comparti sono cresciuti. Altri dati testimoniano un incremento, grazie all’adozione dell’IA, anche del 25% nella finanza e nell’Ict.
Potenzialmente si può generare un incremento della produttività del 18,2% entro i prossimi 15 anni, equivalente a un valore aggiunto annuale di 312 miliardi di Euro o 5,7 miliardi di ore lavorate. “Una straordinaria opportunità per il nostro paese – spiega De Molli – se si tiene in considerazione che dal 1995 al 2023 la produttività italiana ha registrato un -1% e, al contempo, l’Italia sta affrontando una contrazione demografica senza precedenti, che porterà ad una riduzione di 3,7 milioni di lavoratori entro il 2040, al netto di cambiamenti nelle dinamiche di partecipazione al lavoro e di flussi migratori”.
Analizzando nello specifico alcuni settori, come banche e assicurazioni, si possono già vedere le prime implicazioni della presenza dell’IA, visto il grande processo di digitalizzazione in atto e la gestione di dati molto delicati, come spiegato da Ivana Pais, sociologa all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Per la docente diviene centrale la formazione. E come negli anni ’70 c’è stata la grande rivoluzione delle 150 ore, serve un nuovo sforzo di questa portata. Sulla centralità della formazione è intervenuto anche Giovanni Marcantonio, del Gruppo delle Organizzazioni della società civile del Cese, in rapporto al pubblico impiego. Rispetto alla rivoluzioni tecnologiche passate, l’IA andrà a sostituire gli impieghi ad alto valore intellettivo perché più capace a simulare la cognizione umana che il movimento del corpo. Quindi la formazione non può essere quella tradizionale, perché dovremmo essere in grado di fare le giuste domande all’IA e non dare le giuste risposte, e dovrà essere una formazione sempre più veloce, consapevoli che le competenze acquisite avranno una validità che si estinguerà in modo sempre più celere.
Ma cosa sta accadendo nel mercato del lavoro europeo? Franca Salis Madinier, Vicepresidente della sezione occupazione, affari sociali e cittadinanza del CESE, afferma che “l’IA non è solo una questione tecnica ma umana e sociale. L’impianto legislativo europeo mette l’uomo al comando di questa tecnologia. Il dialogo sociale è la chiave per governarla, anche se nelle relazioni industriali e negli accordi l’IA non è ancora molto presente. Si tratta – continua – di una tecnologia ambivalente. Si possono ridurre le attività ripetitive, facendole meglio in meno tempo. Se guardiamo i lati negativi, c’è l’uso di braccialetti per misurare la performance, o l’attribuzione dei turni di lavoro in modo automatico con risvolti negativi sulla salute e il benessere lavorativo”.
Per Marianne Tordeux-Bitker del Cese, omologo francese del Cnel, si dovrà prestare attenzione ad alcune fasce di lavoratori maggiormente esposti. Chi svolge mansioni routinarie, le donne in quanto impiegate, molto spesso, in lavori a basso valore aggiunto, o i giovani laureati poiché all’inizio delle loro carriere posti facilmente sostituibili. Anna Ilsøe, ricercatrice all’Università di Copenaghen, ha presentato l’accordo Hilfr2, che ha regolato l’impiego della IA nel settore delle pulizie. L’accordo, spiega, ha introdotto nuovi diritti digitali come il fatto che anche in sede processuale il datore di lavoro è responsabile dell’algoritmo o che l’app installata sullo smartphone non può raccogliere i dati personali. Ciò che ha sottolineato Ilsøe è il bisogno di una discussione partecipata sull’intelligenza artificiale anche in sede di contrattazione aziendale.
Tommaso Nutarelli