Sudore in Finlandia. Sete a Città del Capo. Incendi devastanti in Grecia, in California, in Portogallo. Tempeste di sabbia in Giordania. Aria soffocante in India. Ondate di calore in Giappone e in Canada. Piogge improvvise In Italia. Uragani nelle Filippine. Avanzata dei deserti in Africa. L’Artico a rischio scomparsa.
La temperatura della Terra continua ad aumentare e il riscaldamento globale, con tutto quel che ne consegue, sembra inarrestabile. L’effetto serra, esasperato essenzialmente dalle emissioni di anidride carbonica, rende sempre più instabile e pericoloso il cambiamento climatico. Gli esperti hanno suonato da tempo l’allarme e la consapevolezza dei rischi per l’intera comunità appariva diffusa e condivisa. Gli accordi di Parigi, nel dicembre 2015, firmati da 195 Paesi, sembravano andare nella direzione giusta, con l’impegno a mantenere l’aumento del riscaldamento ben al di sotto di due gradi rispetto al livello preindustriale. Ma poi è arrivato Donald Trump che ha stracciato quell’intesa, rilanciando l’uso del carbone, principale responsabile della malattia atmosferica.
Lo stato di salute del nostro pianeta è passato di colpo in secondo piano. Il ritorno del sovranismo ha avuto anche questo esito nefasto: i muri, i confini, il sacro suolo patrio, la chiusura nel proprio egoismo nazionalistico hanno obnubilato ogni visione complessiva. Lo stesso fenomeno dell’immigrazione viene affrontato solo in termini di strenua, spesso impietosa e feroce, difesa della propria identità. Dimenticando che la fame e la miseria, insieme con la guerra, sono la causa principale di questo esodo biblico: se la siccità brucia i campi e uccide gli armenti, una civiltà muore. Il resto lo fanno le bombe.
Ma Trump, Putin, Erdogan, Xi Jinping hanno tanti di quegli interessi economici e militari da non preoccuparsi certo delle condizioni ambientali. Rivali nella spartizione delle zone d’influenza ma complici nell’assassinio dei continenti. In Cina siamo poi al paradosso: “ più di un milione di auto elettriche – ha evidenziato The Economist- attinge alla rete elettrica, che ricava due terzi della sua energia del carbone. Il risultato è che le auto elettriche producono più anidride carbonica dei modelli a benzina a basso consumo”. Il danno e la beffa. E’ chiaro che il rapporto tra ecologia e processi produttivi, lo dimostra anche il caso dell’Ilva, non è ancora stato risolto. Questa dovrebbe essere la grande sfida per la politica mondiale.
L’estate del 2018 segna ora uno spartiacque. La stagione che ci stiamo lasciando alle spalle è stata calamitosa. I danni sono evidenti, il pericolo è qui ed ora, non in un futuro prossimo. Non è in gioco la sopravvivenza dei nostri figli e nipoti, ma di noi stessi. Scienziati e ambientalisti stanno rialzando la testa. Riusciranno a unire, almeno nella difesa del proprio pianeta, i confusi abitanti della Terra? Più verde, più alberi, più ruscelli, più campi di grano, più animali, meno petrolio e carbone, via la plastica. Più api e meno zanzare, più grilli e meno mosche. Il ritorno delle lucciole, esulterebbe Pier Paolo Pasolini. L’internazionale della natura, futura umanità.
Post scriptum: il 15 settembre del 2008 implose la banca d’affari Lehman Brothers. Sono passati dieci anni ma la crisi non è finita. Le banche sono state salvate, i cittadini no. Le bolle speculative continuano ad essere sospinte dal vento dei facili guadagni. L’inquinamento dell’economia procede in parallelo con quello dell’ecosistema. Parole simili, analogo destino.