L’immane tragedia della guerra in Ucraina è la prima guerra a tutto campo da oltre 70 anni, ma è anche la prima propriamente del XXI secolo. Per questo presenta, anche agli occhi degli esperti, anomalie, sorpresa, svolte inattese. Eccone alcune.
Che succede nei cieli di Mosca? Per gli amanti del genere, c’è un piccante sentore di grande thriller internazionale nel meteo che ha accompagnato la celebrazione sulla Piazza Rossa della vittoria su Hitler di 77 anni fa. L’apice della grande parata militare doveva essere l’esibizione dell’aeronautica nei cieli a disegnare l’ormai famosa Z, che è diventata il logo della “operazione speciale” in Ucraina. Secondo le succose anticipazioni, doveva mostrarsi in alto anche il grande aereo che ospita il quartier generale nucleare russo. In due parole, l’aereo in cui un Putin sotto attacco si rifugerebbe per spingere il bottone dell’attacco atomico. Non erano solo voci: i curiosi avevano già potuto assistere, sabato, alle esercitazioni di jet e bombardieri sopra la Piazza Rossa.
Invece, niente. I presenti hanno inutilmente continuato a scrutare in alto. Non un’ombra di aereo si è vista nel cielo terso e pulito. O, meglio, il cielo terso e pulito è quello che hanno visto gli occhi di chi stava sulla Piazza Rossa. Ma, nella Russia ormai consegnata (o riconsegnata) alla logica della doppia verità, anche a costo di sconfinare oltre il confine dell’assurdo, il tempo non era affatto sereno e soleggiato. Al contrario, il meteo ufficiale segnalava una mattinata cupa, tempestosa, forse anche spazzata, magari in quota, dal vento, tanto da sconsigliare qualsiasi esibizione aerea. Possibile? L’inatteso contrordine ha scatenato una valanga di ipotesi cospirative. Una rivolta dei piloti d’élite? L’ennesima conferma della scalcagnata improvvisazione in cui vivono le forze armate russe? O il circostanziato sospetto di un attentato?
Nel clima che circonda questa guerra contemporanea, in effetti, l’impossibile è una ipotesi di lavoro. Nella storia recente, ad esempio, si può serenamente scommettere sulla sopravvivenza fisica degli alti vertici. Un generale rischia, normalmente, assai più l’infarto che una pallottola. Non qui: il numero dei comandanti in capo russi morti in azione sfiora la doppia cifra (e ora se ne è aggiunto anche uno ucraino). La sfortuna si accanisce? Girano sicari? O è l’effetto, letale e inatteso, dei droni appostati nel cielo? Secondo una teoria, è soprattutto la maledizione del telefonino. Nella loro sommaria furia distruttrice, i reparti russi all’offensiva hanno distrutto tutte le antenne per le telecomunicazioni che incontravano. Ma, a questo punto, il sofisticato sistema in codice che doveva criptare le comunicazioni fra reparti, comandi, quartier generale è risultato inservibile: per dirla in modo semplice, non c’era mai campo. Funzionavano – via satellite – i telefonini. Ma, a questo punto, le comunicazioni sono diventate facilmente intercettabili, come confermano i successi della guerriglia ucraina. E sono diventate intercettabili anche le posizioni topograficamente esatte al centimetro – ad uso di drone – del telefonino stesso, come dimostrano, forse, le morti a ripetizione degli illustri titolari.
La cattiva tecnologia uccide, ci insegna – insomma – la prima guerra nell’era dell’high-tech. Ma, in realtà, in questi primi mesi di un tragico conflitto che Putin, nel suo discorso sulla Piazza Rossa, sembra consegnare ai tempi lunghi, la tecnologia ha svolto un ruolo da comprimaria. O, più esattamente, non ha esercitato l’impatto decisivo che molti esperti si aspettavano. Intendiamoci: le armi in azione sono, spesso, sofisticatissime. Ma non è la guerra principalmente tecnologica pronosticata da più parti. Gli hacker ci sono, ma hanno svolto un ruolo marginale. Non si sono, ad esempio, inseriti nella rete nevralgica del governo ucraino, anche delle sue infrastrutture civili, presumibilmente meno protette di quelle militari. Non ci hanno provato? Non ci sono riusciti? Sono stati respinti? Non lo sappiamo. Di fatto, i russi hanno preferito bombardare gli ospedali, piuttosto che rendere muti i loro computer. Ed è mancata all’appello anche la protagonista più tecnologica delle guerre moderne: l’aviazione. Piogge di missili ci sono state, ma i russi (al contrario degli americani nelle loro guerre) non hanno mai veramente tentato di assumere il completo controllo dei cieli, che i manuali militari d’oggidì definiscono il primo fondamentale passo di una invasione. Scelta o necessità?
Quello che è emerso, invece, in primo piano è un fattore che, di solito, nelle guerre, arriva a rimorchio, anche se è cruciale: l’economia. L’uso a tappeto di armi economiche – sanzioni e embarghi – è forse figlio delle particolari caratteristiche di questa guerra, in cui un attore principale (l’Occidente), si guarda bene dall’entrare direttamente nel conflitto. Ma è forse anche il riflesso dei limiti in cui una guerra fra i protagonisti della geopolitica è costretta a restare nell’era delle bombe nucleari. La guerra, così, si disegna nelle collane di equazioni dei modelli econometrici. Un gruppo di ricercatori americani ed europei ha provato a misurare l’ipotesi estrema di un embargo totale, da parte dei paesi del G7, verso la Russia. Non la sanzione mirata a singoli settori o personaggi, ma il blocco totale di ogni commercio ed ogni affare. Per la Russia, dicono questi economisti, sarebbe una catastrofe: un crollo del Pil del 14 per cento (in aggiunta a quello già in corso). Più che l’import-export l’effetto sarebbe dovuto, in grandissima parte, al blocco degli investimenti in Russia e alla chiusura di quelli esistenti. Per gli Alleati (come la stampa anglosassone definisce, in questa congiuntura, Usa, Europa e paesi concordi) le perdite sarebbero contenute fra lo 0,1 per cento (gli Usa) e l’1,6 per cento (la Germania e l’Italia, i paesi con relazioni più fitte con la Russia). Il modello è spietato con Mosca: se Putin reagisse con controsanzioni, i danni per l’economia russa sarebbero anche più gravi. In Europa, però, probabilmente, il conflitto ucraino passerebbe alla storia come “la guerra dei condizionatori”.
Maurizio Ricci