Maurizio Landini ha respinto con un certo fastidio il sospetto che la posizione della Fiom sulla vicenda Ilva possa avere una colorazione politica. A Repubblica, che continua a considerarlo l’unica voce dei metalmeccanici anche ora che metalmeccanico non lo è più, Landini ha spiegato che in realtà una vera trattativa non c’è stata, perché tutto sarebbe stato deciso un anno fa da un’altra trattativa, quella che si è svolta sottobanco tra il ministro Calenda e Mittal. Ma allora si dovrebbe dare una spiegazione alle decine di comunicati fatti dalla Fiom sulla vertenza in questo lungo lasso di tempo; e ciò comunque non toglie che le ultime mosse della Fiom sembrino seguire un canovaccio politico.
Un canovaccio diverso però dal passato. A tesserne l’ordito insieme alla dirigenza di Corso Trieste, infatti, non è più, come da tradizione, l’area della sinistra radicale e movimentista, bensì il Movimento 5 Stelle. È stata la stessa Fiom, del resto, nelle settimane e nei mesi passati, a disseminare un po’ ovunque le prove di questo nuovo rapporto. Non manca nemmeno la pistola fumante: Rosario Rappa, sindacalista di stretta osservanza landiniana, dirigente della Fiom di Francesca Re David, ha consegnato il suo endorsement al Movimento 5 Stelle in un’intervista rilasciata sul Diario del Lavoro a Massimo Mascini.
Dire che nell’ambiente sindacale nessuno sia rimasto sorpreso sarebbe riduttivo: semplicemente la notizia è una non notizia per chiunque abbia negli ultimi tempi gettato uno sguardo, magari anche solo di sfuggita, sulle vicende di casa Fiom. Ma è comprensibile che fuori dal circolo degli insider la sortita abbia destato interesse.
Rappa, che da anni porta sulla cover del suo telefono il logo dei 5S, ha spiegato a Mascini che la convergenza della Fiom con i pentastellati risale al 2012 ed è stata tenuta a battesimo durante un convegno svoltosi in Sicilia al quale partecipava Giancarlo Cancelleri, plenipotenziario del Movimento nell’isola. Il merito di Cancelleri sarebbe stato quello di aver ascoltato tutti gli interventi senza alzare i tacchi dopo il proprio, una scostumatezza di cui si sarebbero resi invece colpevoli i rappresentanti degli altri partiti. Questa semplice osservanza del galateo istituzionale, di per sé normalissima, ha rivelato a Rappa il carattere genuinamente sociale della galassia grillina, l’attenzione ai temi del lavoro e alle proposte (un tempo si sarebbe detto alle istanze) del sindacato.
A leggere tutta l’intervista, più che a una riflessione politica viene da pensare al bozzetto intimistico di un amore agli albori. Ma è lecito pensare che questo amore, germogliato di recente, fosse da lungo tempo in incubazione. La Fiom si presenta ormai all’opinione pubblica con le sembianze di un sindacato – movimento cui la tutela del lavoro va decisamente stretta, al punto che Maurizio Landini, punto di riferimento dell’organizzazione anche dopo il suo passaggio in Cgil, ha accarezzato in un passato recente l’idea di farne il perno di una vasta aggregazione politica, quella Coalizione Sociale poi naufragata nel nulla. En passant, è il caso di notare che nella sua intervista a Repubblica Landini ha anche accusato Calenda di voler dialogare solo con “i sindacalisti che firmano articoli con lui”, riferimento trasparente al segretario della Fim Marco Bentivogli; il quale gli ha però ricordato che “quel documento ha tenuto aperto un dibattito di quasi tre mesi nonostante una campagna elettorale distratta in tutt’altro”. Dibattito incentrato peraltro su “lavoro, industria e competenze” e non – aggiungiamo noi – su chimeriche ambizioni da federatore della nuova sinistra antiglobalista.
Del resto, ad essere cambiata in profondità è la stessa impalcatura politico – ideologica sulla quale la Fiom ha costruito la sua storia. Al posto della coscienza di classe i metalmeccanici della Cgil hanno messo l’ideologia dei diritti con il suo corollario di ambientalismo estremo, un certo culto della legalità, l’idolatria egualitaria. Ma l’ideologia dei diritti è proprio il collante che tiene insieme il variegato arcipelago dei 5 Stelle.
Il caso Ilva è la cartina di tornasole di questa mutazione genetica. A forza di strizzare l’occhio al grillismo dei descamisados, che ne reclamano la chiusura, e a quello in doppiopetto di chi, come Michele Emiliano, a tal fine si adopera pur senza dirlo, il risultato è stato di regalare il voto degli operai al populismo pentastellato. Per inciso, non diversamente è andata al Nord, nell’hinterland industriale delle grandi città come nelle fabbriche della provincia, dove a trionfare è stata la Lega in salsa sovranista, e non più federalista, di Matteo Salvini.
Da tutto ciò si deduce che l’infatuazione della Fiom e del suo stato maggiore per i 5 Stelle non è un fenomeno passeggero. E che il matrimonio che Rappa, e probabilmente anche altri, vorrebbero celebrare con i Casaleggio Boys non è di interesse ma, appunto, d’amore. Il che spiega, tra l’altro, come mai lo stesso Rappa trovi condivisibile un’idea come il reddito di cittadinanza e consideri poco più che ragazzate le contumelie scagliate a più riprese dai grillini contro i sindacati.
Da notare infine che, sempre sul Diario del Lavoro, Giuliano Cazzola ha ricordato che l’agenda economica e sociale di grillini e leghisti è in parte – ma una parte rilevante – un calco delle proposte che la Cgil porta avanti da anni, a cominciare dall’opposizione frontale al Jobs Act e alla legge Fornero, passando per la proposta di legge di iniziativa popolare sulla Carta dei diritti universali del lavoro, molto apprezzata dal presidente della Camera Roberto Fico. Difficile quindi dare torto a Cazzola quando, a proposito della Cgil, parla di “concorso esterno in associazione populista”.
di Augusto Bisegna e Carlo D’Onofrio