Mentre aspettiamo che l’uragano Donald si abbatta sull’Europa e quindi anche sull’Italia, a cominciare dai dazi sulle merci che esportiamo negli Stati uniti; mentre assistiamo al disastro che provocherà tra gli americani, soprattutto i più poveri e gli immigrati che verranno rimpatriati, anzi deportati in massa in Messico o altrove; mentre ci agitiamo impotenti per i danni che provocherà all’ambiente con il suo stop al green deal. Mentre insomma ci prepariamo ai quattro anni peggiori della nostra vita, e di molti statunitensi soprattutto, dobbiamo anche pensare al nostro piccolo Paese e a quel che succederà nei prossimi mesi.
Succederà che in primavera gli italiani saranno chiamati alle urne per dire sì o no ai cinque referendum ammessi dalla Corte costituzionale, erano sei ma quello sull’autonomia differenziata è stato bocciato. Si tratta di abrogare leggi ingiuste – anche se sul jobs act renziano la discussione è molto aperta – tra le quali il diritto di cittadinanza, che in caso di abrogazione della normativa attuale passerebbe da dieci a cinque anni. Gli altri quattro riguardano tutti il tema del lavoro e mirano ad aumentare le tutele per chi viene licenziato con il sostanziale ripristino dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e l’abolizione della disciplina sui licenziamenti dei contratti a tutele crescenti. Si intende inoltre abolire il tetto massimo di sei mensilità previsto per l’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato nelle piccole imprese. Il terzo e il quarto quesito di quelli “sindacali”si occupano dei contratti a termine e della responsabilità delle imprese negli infortuni sul lavoro. Ora sul merito delle questioni sottoposte a referendum si può e si deve discutere, il problema che ci interessa porre in questa sede è un altro. Cioè il metodo.
In altre parole, è giusto chiamare gli italiani a votare su questioni non immediatamente comprensibili per chi non è un lavoratore dipendente. E ancora: con l’aria che tira quando si va a votare, ovvero con un astensionismo crescente (ormai vota meno del 50 per cento) che senso ha ingaggiare una battaglia referendaria così importante sapendo che molto probabilmente – io direi sicuramente – non verrà raggiunto il quorum e quindi i referendum saranno nulli? Peggio, saranno un boomerang che tornerà sulla testa di chi li ha promossi, a cominciare dal segretario della Cgil Maurizio Landini (quelli sul lavoro) e dal radicale Maurizio Maggi (quello sulla cittadinanza), ma anche sulla testa di tutti i dirigenti politici che inviteranno a votare sì e di chi andrà a votare.
Si tratta insomma di un azzardo politico, un salto mortale senza rete di protezione, che come primo risultato otterrà la spaccatura del Pd che il jobs act l’ha proposto e votato e ancora oggi lo rivendica come uno strumento utile ad aumentare l’occupazione, almeno un pezzo non irrilevante di quel partito. E come secondo risultato, qualora appunto il quorum non fosse raggiunto,
la sconfitta secca della sinistra e la vittoria netta della della destra al governo. Che potrà rivendicare con facilità la giustezza delle sue politiche contro gli immigrati e contro i diritti di chi lavora. Certo, se invece i referendum fossero validi e vincessero i sì all’abrogazione delle leggi sottoposte al voto, allora come non detto e il quadro cambierebbe totalmente. Allora avrebbe vinto la sinistra e avrebbe perso la destra insieme a tutti quelli che con la destra condividono parecchie di queste norme (vedi Renzi, Calenda e i cosiddetti riformisti del Pd). Ma questa ipotesi è pura teoria, che solo un miracolo potrebbe trasformarla in pratica e quindi in realtà. E come è noto, i miracoli non esistono, tanto meno in politica
Nel mondo governato dal nuovo e micidiale imperatore americano, la sinistra italiana avrebbe bisogno di ingaggiare solo battaglie che può vincere, invece di mettersi dentro imprese che rischiano di portarla a scavarsi la fossa da sola. D’altra parte, cara Elly Schlein, affidarsi al “fiuto” politico di Landini è come imboccare un’autostrada contromano. Nanni Moretti l’aveva già detto tanti anni fa: “Continuiamo così, facciamoci del male”.
Riccardo Barenghi