I diavoli blues, nella tradizione afroamericana, sono quei tormenti dell’anima che diventano un’ossessione. La voce e la musica servono per farli uscire, per scacciarli. Ecco il Blues. “Stamattina mi sono svegliato con questi blues intorno al letto/ /stamattina mi sono svegliato con questi blues intorno al letto/ non potevo mangiare la mia colazione, e c’era blues in tutto il mio pane”, cantava, con la tipica metrica AAB, i primi due versi ripetuti e il terzo conclusivo della strofa, Blind Lemon Jefferson. Ecco, qualcosa del genere sta avvenendo per la politica e per il referendum. Sono incubi blues dei quali sembra impossibile liberarsi.
Tutti gridano e accusano gli avversari dei peggiori propositi in una confusione di argomenti e in uno scambio di ruoli che atterriscono ogni tentativo di serio ragionamento. Chi ci capisce è bravo. I crociati del sì e i difensori del no affermano con la stessa sicumera di voler difendere la democrazia: i primi vogliono mondarla dall’eccesso di poltrone, i secondi paventano un colpo mortale alla rappresentatività. L’informazione non aiuta: un tg, in questi giorni, affermava che con il voto si tagliano i parlamentari, come se questo avvenisse dall’oggi al domani. Zac, subito via, magari sorteggiando i nomi dei 230 deputati e dei 115 senatori che devono lasciare il Parlamento in fila, a capo chino, salutati dai fischi e i lazzi del popolo osannante. Siamo al ridicolo.
Le elezioni regionali a loro volta, vengono presentate come una conta interna alla maggioranza e una prova di forza per l’opposizione. In gioco, a leggere i vari commentatori, ci sono sempre le sorti del governo. Sopravvivrà all’esito incrociato del voto amministrativo e di quello referendario? Come verranno guidate Veneto, Valle d’Aosta, Liguria, Toscana, Marche, Campania, Puglia, sembra essere argomento secondario. E, in fin dei conti, anche l’esito del quesito costituzionale verrà in primis letto per capire i suoi effetti sull’esecutivo. Con buona pace di quanti in questi giorni si scervellano ad illustrare i diversi impatti sugli equilibri istituzionali.
E le idee, i progetti, i programmi? Evidenti finzioni. Quel che conta è il potere, da conquistare o da proteggere. La parola “rimpasto” fa venire la pelle d’oca. Roberto Saviano, quando dice che il PD non ha identità, vapore acqueo che pensa solo alla sopravvivenza, è di certo ingeneroso ma che il partito erede di comunisti e democristiani stia morendo di governismo appare fuori di dubbio. E le manovre intorno a Nicola Zingaretti, denunciate dallo stesso segretario, hanno di nuovo il sapore di una congiura di palazzo più che di una sana battaglia a tutto campo.
La Destra ha buon gioco quando si resta nella stanza dei bottoni solo per non consegnare l’Italia al confuso avventurismo di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. A mancare è proprio la Sinistra, con i suoi valori. Per essere legittimati non basta gridare sempre al pericolo fascista. Dove sono la giustizia, l’uguaglianza, la libertà?
Ecco che i blues si agitano. È tutto perso? Forse no. Ma la meta è tanto, tanto, tanto lontana. Blind Lemon Jefferson ci accompagna con la sua chitarra: “È una lunga strada senza fine/è una lunga strada senza fine/ed è un ventaccio che non cambia mai”.
Marco Cianca