Quanto sono legati i lavoratori italiani al proprio posto di lavoro e quanto le aziende sono in grado di trattenerli? La risposta è poco secondo l’European Workforce Study 2025 stilato da Great Place to Work che ha sondato gli umori di 25mila lavoratori in 19 paesi europei. Il rapporto spiega che 4 dipendenti italiani su 10 (40%) sono intenzionati a cambiare occupazione nel corso dell’anno, collocando il nostro paese al primo posto di questo primato non certo invidiabile.
La capacità di trattenere personale e competenze è solo la seconda faccia di un problema ben più ampio che i responsabili delle risorse umane devono gestire ossia la carenza di candidati adatti sul mercato. Secondo i dati dell’Inapp nel 2024 quasi la metà delle posizioni lavorative, il 47,8%, non è stata coperta. Un incremento di 22,5 punti percentuali rispetto al 2019. Le cause del mismatch non vanno solo ricercate nel fatto che, molto spesso, il mondo della formazione e quello del lavoro non sempre parlano la stessa lingua, e quindi sono le aziende che devono farsi carico di colmare il gap di competenze richieste – cosa più alla portata per quelle grandi e strutturate, compito più impervio e proibitivo per le piccole – ma anche nel declino demografico. La popolazione invecchia e il tasso del turn over ha sempre saldi negativi. Da qui al 2040 mancheranno 4 milioni di persone in età da lavoro. L’invecchiamento, unito a una bassa partecipazione del mercato del lavoro, soprattutto delle donne con un tasso di occupazione al 53,1% rispetto al 66,3% della media europea, potrebbero portare, secondo il Dipartimento Economia e Statistica di Bankitalia, una riduzione del Pil potenziale di nove punti da qui al 2050.
Tornando al tema della retention, i paesi più virtuosi dello studio sono Austria, Germania e Paesi Bassi, e Norvegia dove rispettivamente solo il 21, il 23 e il 25% dei lavoratori intervistati è intenzionato a trovare un lavoro diverso. Sulla volontà di intraprendere una nuova strada lavorativa incide molto l’età. Solo il 25% degli over 55 sente questa necessità, percentuale che cresce al 40% per la generazione Z. Un elevato tasso di turnover non solo impoverisce le imprese di competenze, ma le obbliga anche a sostenere costi significativi per sostituire le risorse umane mancanti. Attraverso un’elaborazione Graet Place to Work ha stimato in 200mila euro annui il costo che un’azienda di 100 addetti deve sostenere con un tasso di turn over al 10%, che rappresenta il valore medio delle realtà attive al nord.
Ma anche l’organizzazione aziendale, soprattutto sul fattore orario, può rivelarsi un valido alleato nel bloccare i dipendenti. Modalità ibride, che coniugano in modo equilibrato lavoro in presenza e da remoto, sono, secondo lo studio, le migliori per aumentare il grado di retention. Solo il 24% del campione, infatti, si sta guardando intorno in cerca di un nuovo impiego, percentuale che sale al 34 e al 37% per chi lavora in sede e in smart working.
Ma cosa fare per accrescere la fidelizzazione? Il salario è una delle prime leve e anche tra i principali motivi che spingono una persona verso una nuova occupazione. Ma anche benefit e piani di welfare possono essere un valevole incentivo a restare. Ma ci sono anche altri aspetti non strettamente legati al compenso. Garantire un giusto compromesso tra lavoro e vita privata, attraverso politiche di smart working, può essere certamente allettante, così come la possibilità di fare carriera e formarsi unita a un clima aziendale basato sulla fiducia e attento a capire e rimuovere gli ostacoli.
Tommaso Nutarelli