Il 25 aprile dello scorso anno, in piena pandemia, un video girato nell’Ospedale Maggiore di Parma ha segnato un salto epocale delle celebrazioni resistenziali. Al suono di Bella Ciao, medici e infermieri esibivano in sequenza, con cartelli o disegnate sui camici, le struggenti strofe della canzone. I nuovi partigiani. Pronti a rischiare la vita per combattere il virus invasore e disposti a morire in difesa dell’umanità. Quanti sono stati seppelliti sotto l’ombra di un bel fior e subito dimenticati? Volti e drammi che andrebbero impressi nelle contorte menti dei negazionisti.
Ed eccoci alla seconda Festa della Liberazione nell’era Covid. Casapound e Forza Nuova sobillano la piazza degli aperturisti ad ogni costo mentre Giorgia Meloni, dall’opposizione, e Matteo Salvini, dal governo, soffiano sul fuoco della rivolta sociale. Giovani contro vecchi. Precari contro garantiti. Commercianti e piccoli imprenditori contro salariati e pensionati. Partite Iva contro buste paga.
Il ministro della Sanità, Roberto Speranza, è diventato il capro espiatorio. Per gridare alla dittatura si gioca sul rosso, il suo colore politico e nel contempo il livello cromatico del massimo allarme per i contagi. La Destra libertaria e la Sinistra oppressiva. Vecchi cavalli di battaglia della guerra fredda e dell’anticomunismo ottengono una nuova stagione di successi.
Ma poi, quando si parla di diritti veri, come quelli degli omosessuali o dello ius soli, ecco che tornano l’intolleranza verso la presunta diversità e l’odio per gli immigrati. Basti pensare agli insulti rivolti alla proposta di legge Zan e le critiche furibonde ad Enrico Letta che da neosegretario del Pd ha indicato come un obiettivo primario il sacrosanto riconoscimento della cittadinanza italiana per chi nasce nel nostro Paese. E quando Liliana Segre, scampata ai campi di concentramento, viene chiamata a presiedere la commissione per il contrasto al razzismo e all’antisemitismo, gli insulti e le minacce via social scorrono come una nera schiuma.
È il doppio volto dei mascalzoni. Le regole non valgono se mi penalizzano ma invoco il pugno di ferro per tutto il resto. Me ne frego, era il motto degli squadristi. Applicabile ai no mask e ai no vax. Umberto Eco metteva in guardia dal fascismo eterno, non una cristallizzazione storica ben definita, ma uno stato dell’animo, una categoria dello spirito. Una psicologia di massa, per dirla con Wilhelm Rilke, fatta di egoismo, frustrazione, prepotenza, maschilismo, invidia, repressione, risentimento, violenza. Pulsioni e sentimenti sempre pronti ad indossare l’orbace. E che il coronavirus ha acceso di allarmanti bagliori.
L’iniziativa promossa da Sant’ Anna di Stazzema, comune simbolo degli eccidi nazisti, contro ogni tipo di apologia mussoliniana, ha superato di gran lunga le cinquantamila firme necessarie alla presentazione in Parlamento. E in parallelo è stata rilanciata l’anagrafe nazionale antifascista, sorta di virtuale elenco di chi rifiuta ogni richiamo nostalgico. A sua volta Noipartigiani.it sta diventando un memoriale digitale di interviste e testimonianze raccolte in passato. Chi lottò per noi continuerà sempre a parlarci.
Tante iniziative lodevoli, da appoggiare e diffondere, ma che appaiono puramente difensive se non accompagnate da una grande offensiva culturale e politica. Il 25 aprile non deve essere solo un monito a non dimenticare la tragedia del Ventennio e della guerra, non va omaggiato con la testa girata indietro ma con lo sguardo al futuro della civiltà.
Lunedì 26, il giorno dopo le celebrazioni, avrà inizio il percorso di ritorno alla normalità annunciato da Mario Draghi. E la bandiera della rinascita non può essere lasciata nelle mani dei beceri arruffapopoli. Il merito della Liberazione dal morbo spetta a chi ha lottato in prima fila, come gli operatori sanitari di Parma, senza dubbi e tentennamenti, non a chi ha sempre rifiutato ogni scelta di indispensabile restrizione. Non siamo sopravvissuti solo per tornare al bar, in palestra o al ristorante.
Aprile è il più crudele di tutti i mesi, sosteneva Thomas Stearns Eliot, perché mescola memoria e desiderio e desta radici sopite con pioggia di primavera. Sbagliava. I lillà non vengono generati dalla Terra desolata ma germinano nella sensibilità e nella condivisione.
Una mattina, mi son svegliato.
Marco Cianca