“Ogni agio si accompagna ad un disagio” recitava un antico detto latino. Monito che pare disatteso dalla politica mentre ci si avvia verso le elezioni di marzo.
Le promesse preelettorali non solo paiono del tutto svincolate da considerazioni sul modello di crescita che va rafforzato, ma sembrano lontane da quello che fanno gli altri grandi Paesi europei. Lì è il tempo dei fatti e delle scelte, qui da noi dominano le parole che sono più figlie di suggestioni che di progetti.
Nel frattempo entrano in gioco le misure della manovra 2017 che possono essere variamente commentate ma di certo non sono sufficienti a fare quello che oggi si dovrebbe fare: dare sostegni strutturali alla crescita ed ai parametri positivi che l’Istat ci consegna in questo periodo con continuità. In secondo luogo la manovra sembra avulsa in buona parte dal compito di garantire una migliore qualità alla ripresa. Caso emblematico è quello della occupazione: in crescita fino a toccare i massimi da 40 anni, ma con caratteri di precarietà prevalenti, mentre le classi centrali del mercato del lavoro, quelle che vanno dai 35 ai 50 anni perdono posti di lavoro. In compenso ben 15 miliardi di euro sono impegnati a “stoppare” l’Iva in una fase nella quale i consumi procedono lentamente ma perché come sostiene Draghi manca una tollerabile inflazione da salari.
Non si vede, insomma, uno sforzo – ma neanche una elaborazione all’altezza dei problemi sul piano politico – che converga sulle reali necessità dell’economia italiana. Si loda l’aumento dell’occupazione ma non si avanzano proposte utili per avviare reali politiche attive del lavoro. Soprattutto se i mutamenti del lavoro costringeranno a fare i conti per gli anni a venire con due priorità: garantire il passaggio da lavoro a lavoro, accompagnare l’evoluzione del mercato del lavoro con la formazione.
Abbondano gli “sconti” nella concorrenziale campagna elettorale dei partiti. Ma senza lo scenario necessario: quello di garantire equità attraverso una credibile riforma fiscale.
La ricerca del consenso non può determinare il paradosso che mentre più si “offre” per conquistare la fiducia dei cittadini, più si allontana quel futuro che gli italiani vorrebbero, un futuro più stabile, con meno diseguaglianze, in grado di fornire il terreno adatto per progetti di vita.
In questo senso non si intravede neppure una attenzione a due nodi che invece potrebbero favorire una crescita più robusta e durevole: c’è bisogno di riorientare il risparmio con decisione verso l’economia reale, ma il palcoscenico è occupato dalla “trame” bancarie vere o presunte che siano.
In questi anni poi, gli interventi a favore delle imprese sono stati corposi, ma assai poco ricompensati in termini di investimenti. Anche se, va detto, lo Stato non ha dato un bell’esempio: si continuano a creare carrozzoni come la fusione fra Ferrovie ed Autostrade, mentre la modernizzazione infrastrutturale avanza a rilento e la manutenzione del territorio arriva sempre dopo le calamità.
Si sta creando un nuovo dualismo che non va sottovalutato: quello di una attività produttiva che sa stare nella stagione dell’industria 4.0 e quella di una economia di risulta che si arrangia e cerca di lucrare i frutti, sia pur modesti, della ripresa. Ma anche su questo terreno la riflessione politica latita.
La contraddizione che abbiamo di fronte è evidente: la prudenza della manovra varata dal Governo ha offerto alle forze politiche l’occasione per largheggiare in concessioni elettorali. Non è difficile immaginare quale sia il giudizio dei mercati e di chi ci osserva dall’esterno.
Questo stato di cose non deve però nascondere la vitalità del nostro sistema economico che è alle prese però con un ritmo di crescita diseguale e più lento rispetto a quello europeo. E questo deficit alla lunga potrebbe pesare e non poco sulle prospettive.
Servirebbe un ritorno a programmi ancorati alla realtà. Un colpo di reni di quel riformismo che è tale perché sa agire con realismo ma porta con sé un bagaglio di valori che proiettano l’impegno politico oltre il contingente.
Il movimento sindacale in questa situazione deve sapere muoversi ancora una volta in piena autonomia. Condizione necessaria per non fare mancare al confronto politico e sociale le nostre proposte e dare verità allo sforzo di costringere tutti a confrontarsi con i problemi reali che abbiamo di fronte.
Il 2018 è un anno importante, perché è anno di contrattazione, è anno di congressi. Ma è anche una opportunità per dispiegare, con intelligente unità, tutta la forza di cui il sindacato è in possesso. Una forza che è notevole, che può cambiare molte cose, che può ottenere il consenso meditato del mondo del lavoro.