Il 2016 si chiude come era cominciato con l’Italia che vive in bilico e non trova per ora almeno la direzione per tornare davvero a guardare avanti. Due messaggi che quest’anno ci consegna sono infatti due potenti moniti. Il primo, sottovalutato, viene dal rapporto del Censis, il più pessimista degli ultimi anni, che mette in guardia dall’immobilismo e raffigura gli italiani come dei “rentier”, ovvero tesi a difendere il poco od il molto che hanno e che rischiano in tal modo però di “svendere pezzo dopo pezzo l’argenteria di famiglia”.
Il secondo segnale, come non sottolinearlo, giunge dal sonoro “no” nel referendum costituzionale nel quale probabilmente il merito ha contato molto meno della somma delle insoddisfazioni e dei timori presenti nel Paese e che soprattutto i giovani ed il sud hanno messo in mostra. L’uscita di scena, temporanea o no che sia, del Governo Renzi consegna al Paese un nuovo Governo Gentiloni ma certamente non un nuovo progetto quale che esso sia. Non a caso sarà la dialettica politica a determinare sostanzialmente la durata dell’Esecutivo.
Ed a chi ha parlato di continuità si potrebbe obiettare che in realtà se ne può ravvisare davvero poca: il nuovo governo si dovrà misurare con un clima diverso ed intossicato dalle future sfide elettorali, si troverà a fronteggiare questioni economiche e sociali che gli scenari internazionali rendono assai complessi a partire dall’eventualità che la spinta alla deglobalizzazione e quella verso nazionalismi sempre più spinti si rafforzi nei prossimi mesi. Se questa tendenza accelerasse, solo per fare un esempio, non solo l’azione della Bce e delle altre banche centrali diventerebbero più affannose ma alcuni studi prevedono che soprattutto il lavoro in Asia ed in Europa (Germania ed Italia in testa) pagherebbero il prezzo più salato.
Ed ancora: il nuovo Governo potrà contare assai poco su alleati fidati ma al contempo dovrà fare in modo di disturbare il meno possibile l’inquieto clima politico per facilitare le modifiche essenziali ad avere quel sistema elettorale che dovrà spianare la via verso elezioni. Ed è tutto da vedere se riuscirà a rispettare le promesse e gli impegni presi dal Governo Renzi in previsione del Referendum, fra i quali non dimentichiamolo c’è il rinnovo dei contratti del pubblico impiego che attendono anche adempimenti legislativi tutti da fare. Certo resta Padoan, una sorta di Presidente ombra, ma anche in questo caso il contesto muta con l’avvento della Presidenza Trump e il riscaldarsi del confronto politico in Paese centrali per il futuro dell’Europa come Francia e Germania. E poi banche ed immigrazioni rimangono un nervo scoperto di difficile gestione. In una parola potrebbero tornare di moda due parole abusate come instabilità politica.
Uno degli effetti più problematici del Referendum è dato proprio dalla constatazione che la distanza fra la politica e gli italiani continua ad approfondirsi come se fossimo in presenza di uno smottamento della convivenza senza fine. Il “no” va oltre i suoi sostenitori, indica che la sfiducia verso una classe dirigente che vive soprattutto dell’oggi non accenna a diminuire. Ed alimenta al tempo stesso la propensione alla rassegnazione ed il suo contrario, vale a dire la rabbia compressa per l’assenza di mutamenti di rotta. E tutto questo si avverte in un Paese dove le diseguaglianze non cedono il passo, l’occupazione si confonde ancora con la precarietà, il reddito non spinge i consumi soprattutto in assenza di una vera riforma fiscale, il futuro diventa uno spauracchio dal quale ci si difende abolendo ad esempio la voglia di rischiare.
Naturalmente il 2016 non è un anno tutto in negativo. Tutt’altro. Basti pensare alla stagione contrattuale che ha registrato importanti rinnovi che riguardano i nostri settori come i metalmecanici ed altri ancora. In essi ci sono le premesse per altre stagioni di cambiamento e nelle quali il compito sindacale di salvaguardare diritti dei lavoratori può esercitarsi con successo. Così come non può passare sotto silenzio il ritorno ad una volontà di confronto da parte delle Associazioni imprenditoriali, Confindustria e Confcommercio in particolare, che ha trovato pronto il sindacato ed anzi in grado di esprimere proposte comuni. Ed infine, pur con tutti i suoi limiti, questo è l’anno nel quale si è tornati ad un dialogo fra governo e sindacati sulle pensioni che apre prospettive diverse da quelle che hanno guidato in modo ragionieristico la mano dei Governi del passato come se la condizione anziana fosse solo ed unicamente un problema di contabilità generale.
Anche la crescita, pur lenta ed irregolare, è proseguita dimostrando che c’è una parte non piccola del Paese reale che non ha gettato la spugna, che non si rassegna alla stagnazione, che non vive di espedienti per “tirare a campare”. Un mondo, produttivo e sociale, che fa da sé, che diffida degli annunci, che cerca di innovare, ma che avrebbe bisogno di una cornice progettuale che finora Governi e politica non hanno assicurato in modo convincente.
Eppure se le ragioni della instabilità stanno nella politica e se certamente il terreno sociale non è per nulla tutto rose e fiori, vale la pena di ricordare a noi stessi ed a tutti che proprio in questi frangenti la coesione sociale e la tenuta del Paese può dipendere da una più forte assunzione di responsabilità delle forze sindacali. Già in passato tutto questo è avvenuto, dalla ricostruzione alla lotta al terrorismo, dall’impegno contro l’inflazione e sulle politiche dei redditi al cosiddetto Patto Ciampi che salvò l’Italia da derive assai pericolose negli anni ’90. In certi momenti ci fu una perfino una supplenza delle forze sociali rispetto alle debolezze politiche che ora appare inattuale anche se lo stato di salute dei partiti è ancora più precario sconfinando in una profonda crisi di identità.
Eppure il sindacato può svolgere una funzione assai preziosa ed utile proprio in quanto è depositario di valori e di una cultura di progresso che invece appare deficitaria nella mediocre dinamica politica. E questo ruolo può essere svolto, insieme, su più piani: da quello che si sforza di spazzare via veleni e gretti egoismi dalla discussione fra i protagonisti della vita politica, a quello di costruire nella realtà economica dei pilastri nuovi che vanno dalla partecipazione ad una stagione di relazioni industriali capaci di accompagnare i processi prepotenti di innovazione. Per non parlare di quello, fondamentale, teso a costringere la politica a misurarsi con progetti dallo…sguardo lungo per sottrarre la nostra economia da quello stato di incertezza che tanti danni ha fatto in questi anni.
“Dentro un ring o fuori non c’è nulla di male a cadere. E’ sbagliato rimanere a terra” sosteneva Muhammad Alì, il grande pugile. Ammonimento quanto mai attuale per tutti noi. Risollevarsi anche quando può apparire quasi impossibile diventa invece un dovere etico e politico da assolvere al meglio delle nostre convinzioni. Il sindacato italiano se vuole può farlo. Ed il nostro impegno va in questa direzione.