Sono circa 2.322 milioni le persone tra i 15 e i 70 anni che hanno subito una forma di molestia a sfondo sessuale sul lavoro nel corso della vita, di cui l’81,6% donne, pari a circa 1 milione 895mila, il 13,5% del totale delle donne tra i 15 e i 70 anni. A queste si aggiungono le donne che hanno subito ricatti sessuali sul lavoro, pari a 298mila. Le donne tra i 15 e i 70 anni che hanno subito una qualche forma di molestia o un ricatto per ottenere un lavoro e-o avere un avanzamento di carriera costituiscono circa il 15% del totale delle donne tra i 15 e i 70 anni (circa 2 milioni 68mila donne), mentre gli uomini che hanno subito molestie sessuali nel mondo del lavoro (ad eccezione dei ricatti) sono il 2,4% (circa 427mila). È quanto emerge dall’indagine sulla sicurezza dei cittadini svolta nell’anno 2022-2023 dall’Istat, che spiega che in particolare si tratta di sguardi offensivi, offese, proposte indecenti, fino ad atti più gravi come la molestia fisica.
Negli ultimi tre anni precedenti la rilevazione del 2022-2023, il 4,2% delle donne di 15-70 e l`1% degli uomini della stessa età ha subito molestie sul lavoro; negli ultimi dodici mesi i tassi sono pari rispettivamente a 2,1% e 0,5%.
Sono vittime di molestie sul lavoro in particolare i giovani (sia donne sia uomini) entrati da poco nel mercato del lavoro: 12% tra i 15-24enni e 10,8% dei 25-34enni. Le molestie sul lavoro colpiscono prevalentemente le giovani donne, 21,2% nella fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni, contro il 4,8% dei coetanei uomini. Di poco inferiore è l`incidenza percentuale delle donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni (18,9%, rispetto al 3,7% degli uomini).
Nel corso della vita il 12,1% delle donne e l`1,8% degli uomini subiscono offese attraverso sguardi inappropriati e lascivi che mettono a disagio, la proposta di immagini o foto dal contenuto esplicitamente sessuale che offendono, umiliano o intimidiscono, scherzi osceni di natura sessuale o commenti offensivi sul corpo o sulla vita privata, in altri casi subiscono avances inappropriate, umilianti oppure offensive sui social, o ricevono email o messaggi sessualmente espliciti e inappropriati. Mentre il 5,9% delle donne e l`1% degli uomini ricevono proposte inappropriate di uscire insieme che offendono, umiliano intimidiscono o che si spingono a richieste di qualche attività sessuale, anche attraverso regali indesiderati di natura sessuale.
Una percentuale pari al 2,6% delle donne e allo 0,2% degli uomini sono invece vittime di molestie di natura fisica. Queste ultime sono agite in particolar modo sulle fasce più giovani della popolazione raggiunta dall`indagine, con una prevalenza del 3,4% dei giovani tra i 15 e i 24 anni. Confrontando i dati con riferimento al genere nei diversi periodi considerati, si osserva che, nel corso della vita, le donne sono state vittime di molestie 4,5 volte in più rispetto agli uomini.
Sia uomini sia donne denunciano di rado: tra le donne, solo il 2,3% ha contattato le forze dell`ordine e il 2,1% altre istituzioni ufficiali. Sul posto di lavoro le vittime donne si sono rivolte a consulenti nell`8% dei casi, direttamente al datore di lavoro o al loro superiore (14,9%) o si confidano con i colleghi di lavoro (16,3%). Anche gli uomini si rivolgono in prevalenza ai colleghi (14,8%), cui segue il datore di lavoro o il superiore (8,8%), nonché alla figura che ha la responsabilità di intervenire quando si verificano questi fatti (6,8%). Si tende maggiormente a riportare alla cerchia di amici, parenti e familiari (41,5% le donne e 31% gli uomini), mentre non ne ha parlato con nessuno il 24,8% delle donne e il 28,7% degli uomini.
Gli uomini tendono a considerare più lieve la gravità degli episodi subiti rispetto alle donne. Queste ultime attribuiscono gravità elevata (molto o abbastanza) nel 56,4% dei casi rispetto al 45,5% degli uomini. Quando si considerano gli episodi di molestie subite negli ultimi tre anni precedenti l`intervista, il 68,3% delle donne ha percepito molto o abbastanza grave l`evento subito, contro il 40,6% degli uomini. Nel caso di eventi molto e/o abbastanza gravi, sia donne sia uomini fanno maggiormente ricorso alle istituzioni preposte e alle forze dell`ordine, ma a farlo sono soprattutto gli uomini (26,7% gli uomini e 6,3% le donne).
Sul tema interviene anche la Cgil. “Non stupisce affatto, e non è casuale, che a subire molestie sul luogo di lavoro siano soprattutto le donne e che a metterle in atto siano in larga percentuale colleghi maschi, non raramente ‘superiori’ o datori di lavoro”, commenta la segretaria confederale Lara Ghiglione . “È lo squilibrio di ‘potere’ e il permanere di una cultura che oggettivizza le donne, relegandole a ruoli stereotipati, a creare terreno fertile per questa specifica tipologia di molestia”.
Per Ghiglione è “fondamentale favorire l’acquisizione di consapevolezza e cambiare la cultura sessista e patriarcale, spesso presente nei luoghi di lavoro, anche al fine di contrastare la colpevolizzazione delle donne vittime di molestie”. Una questione di cultura, dunque, di mentalità, che si affronta anche attraverso la formazione. “Da tempo stiamo chiedendo di inserire un modulo specifico per il contrasto alla violenza e alle molestie, nella formazione obbligatoria su salute e sicurezza. Che esista tale necessità lo evidenzia il fatto che il 64,8% delle donne intervistate dichiara di non sapere a chi rivolgersi in caso di molestie sul lavoro. Per questo formare il personale, le delegate e i delegati sindacali e creare contesti di lavoro ‘protetti’ e non giudicanti deve essere uno specifico impegno del sindacato”.
“Proprio a partire da tutte queste specificità – aggiunge – riteniamo si debba introdurre una specifica fattispecie riguardante le molestie sul lavoro”.
In questa direzione muovono anche i nostri referendum della Confederazione “che perseguono lo scopo di rendere il lavoro più sicuro, stabile, tutelato e dignitoso, possono determinare un netto miglioramento delle condizioni generali delle lavoratrici, anche per prevenire e contrastare ogni forma di molestia e violenza”.
Non basta, quindi, ad arginare il fenomeno la legge 4/2021 di ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del lavoro (OIL) n. 190/2019 sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro – Convenzione ratificata dall’Italia che nel corso della XIX legislatura ha visto la presentazione di diversi disegni di legge – come, tra gli altri, il Ddl 671 “Disposizioni per la tutela della dignità e della libertà della persona contro le molestie e le molestie sessuali, con particolare riferimento al mondo del lavoro. Delega al Governo per il contrasto delle molestie sul lavoro e per il riordino degli organismi e dei Comitati di parità e pari opportunità” – ancora in corso di esame.
Sul fronte delle relazioni industriali, nel corso del tempo il tema delle molestie – e in generale del benessere dei lavoratori e delle lavoratrici – ha guadagnato sempre più spazio ai tavoli di trattativa. Come rilevato dalle ricercatrici della Fondazione Adapt, Chiara Altilio e Stefania Negri, nel paper Violenza di genere: il contributo della contrattazione collettiva nella prevenzione e nel contrasto, esistono numerosi accordi interconfederali, protocolli di intesa e dichiarazioni congiunte che richiamano un impegno esplicito da parte degli attori della rappresentanza nella prevenzione, gestione, contrasto e tutela contro la violenza di genere. Documenti importanti che tuttavia, senza una effettiva implementazione, rischiano di rimanere affermazioni di principio.
Anche i principali contratti collettivi nazionali di lavoro fanno sostanzialmente rinvio a quanto già stabilito dalla legge, alcuni in maniera più incisiva di altri. Come a esempio il Ccnl dell’industria metalmeccanica, che nel rinnovo del 2021 ha introdotto, con l’articolo 12-bis della Sezione quarta – Titolo VI, alcune misure a favore delle lavoratrici che risultino vittime di violenza di genere. Insieme alla disciplina contrattuale relativa al congedo e alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale, come previsto dall’art. 24 del d.lgs. n. 80 del 2015, sono regolamentate alcune ulteriori misure, quali il diritto alla formazione continua al rientro dopo il congedo, il trasferimento ad altra sede e il godimento di ferie e permessi solidali. Secondo l’articolo, le lavoratrici inserite nei percorsi di protezione hanno diritto ad astenersi dal lavoro per un periodo retribuito massimo di sei mesi, tre mesi in più di quanto previsto a livello normativo dal D. Lgs. n. 80/2015. L’intero periodo di aspettativa è retribuito: i primi tre mesi sono a carico dello Stato, mentre i rimanenti tre a carico dell’azienda. Ulteriori strumenti di tutela sono il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale, il diritto alla formazione continua e, ove possibile, la richiesta di trasferimento ad altra sede.
Ma è soprattutto attraverso l’analisi sistematica della contrattazione collettiva aziendale e territoriale che è possibile verificare l’implementazione di affermazioni di principio e dichiarazioni di intenti. Sempre secondo quanto riportato nel paper da Altilio e Negri, uno studio longitudinale degli accordi aziendali permette di osservare come tra il 2019 e il 2023 il 5% di essi contiene almeno una previsione dedicata al tema della violenza di genere. Nello specifico, per ogni anno è stato rilevato il numero di contratti aziendali contenenti almeno una misura in tema di violenza di genere, per ricavare così il totale delle frequenze della distribuzione. In questo modo è stato possibile evidenziare, in termini relativi, che nell’arco di tempo considerato si registra sostanzialmente un aumento dei contratti di circa 21 punti percentuali. A livello aziendale le misure più diffuse sono quelle finalizzate a tutelare in via diretta le vittime di violenza di genere, che rappresentano complessivamente circa l’85% delle misure mappate. Le misure spaziano da iniziative informative e formative sul tema a strumenti di tipo organizzativo ed economico a supporto diretto delle vittime.
I contratti che prestano più attenzione ai temi delle molestie e delle violenze sui luoghi di lavoro sono quelli di più recente rinnovo,mentre sono assenti tutele specifiche nei contratti collettivi nazionali di lavoro con rinnovi più lontani nel tempo. “In generale, sebbene nella gran parte dei casi l’intervento delle parti sociali a livello nazionale afferisca a istituti previsti dalla legge, si deve evidenziare che è questo il livello di contrattazione che traina l’adozione di soluzione più innovative a livello decentrato”, sintetizzano infine Altilio e Negri.
I luoghi di lavoro possono essere ricettacoli di violenze e molestie, ma contemporaneamente devono diventare ambienti di protezione di lavoratrici e lavoratori. In questo senso, la contrattazione è uno strumento strategico di tutela per il miglioramento delle condizioni di lavoro.
Elettra Raffaela Melucci