Raffaella Vitulano
La Cisl Internazionale (Icftu) ha presentato una risoluzione sulla condizione femminile in Afghanistan dove, dal 1996, i fondamentalisti afghani hanno assunto il potere a Kabul.
Le donne afghane non possono lavorare (per non incorrere in eventuale adulterio…), presentarsi in pubblico senza un parente maschio, andare a scuola per istruirsi (perchè il loro cervello conterrebbe meno cellule di quelli maschili). Gli uomini hanno il potere di vita e di morte sulle mogli e sulle loro parenti ma un gruppo di persone arrabbiate ha tutto il diritto di lapidare o picchiare una donna, spesso a morte, solo per aver mostrato qualche centimetro di carne. Devono indossare il burqa ed è prevista la fustigazione pubblica per quelle che abbiano le caviglie scoperte. Tutti i nomi di luoghi che un tempo presentavano la parola donna sono stati cambiati: il “giardino delle donne”, ad esempio, e’ diventato ” giardino della fonte “. Ed è vietato riprodurre immagini di donne su giornali e libri ed esporle nelle case e nei negozi.
Regole che negano i più elementari diritti umani, assurde alle soglie del 2000, ma che vengono applicate con ferocia e determinazione. Come? Una donna è stata colpita a morte da una folla adirata di fondamentalisti perché aveva accidentalmente esposto il braccio mentre stava guidando (quando ancora non era stato tolto alle donne il diritto di guidare). Un’altra è stata lapidata per aver tentato di lasciare il paese con un uomo che non era un suo parente. Professioniste, professoresse, traduttrici, medici, avvocati, artiste e scrittrici sono state costrette a lasciare i loro lavori ed a rimanere segregate in casa dove devono portare scarpe che non facciano rumore in modo da non essere sentite. Non possono neppure ridere forte: nessun estraneo deve sentire la voce delle donne. Vivono nel terrore dato che il minimo sbaglio può costare loro la vita.
Siccome non possono lavorare (neppure nell’insegnamento o nella sanità) le donne che non hanno parenti maschi o mariti, anche se sono laureate, fanno la fame o chiedono l’elemosina sulla strada. Oppure si prostituiscono, non hanno altra scelta, infatti, per garantire la sopravvivenza dei loro figli e della loro famiglia. Così la dominazione fondamentalista si e’ anche tradotta in un incredibile aumento del numero di prostitute e di mendicanti.
I fondamentalisti non solo hanno “legalmente” abolito ogni diritto umano delle donne in tutti i territori in cui si sono insediati, ma hanno anche commesso nel loro confronti crimini senza precedenti nella storia dell’Afghanistan. Nessuna giovane donna era, od é al sicuro. Donne di tutte le età, perfino nonne settantenni hanno subito stupri di gruppo. Molte donne si sono uccise per evitare di essere stuprate o costrette a contrarre matrimoni forzati con i guerriglieri. Non meraviglia che la depressione femminile abbia raggiunto livelli d’emergenza e che il tasso dei suicidi fra le donne sia aumentato considerevolmente. Un fenomeno che non viene, ovviamente, studiato dal regime dei talebani ma che i fatti, le storie che riescono a trapelare fuori dai confini afghani grazie all’impegno delle associazioni femminili, descrivono con chiarezza. Storie come quella di Nahecd , 16 anni, di Kabul, studentessa delle superiori: quando, nell’estate del 1992, un gruppo di Mujabedin armati irruppe nella sua abitazione per rapirla, mentre la famiglia cercava di opporre resistenza, corse al quinto piano del palazzo in cui abitava e si gettò dal terrazzo.
In una lettera di una donna si legge: “Quattro anni fa, una ragazza nostra vicina di casa, fu stuprata dagli Jehadis e più tardi un’altra giovane donna fu rapita nel nostro quartiere. Dopo questi due incidenti caddi in una profonda depressione e tentai più volte il suicidio. Oggi non sono ancora capace di trovare ragioni convincenti per continuare questa amara e miserabile esistenza”.
E poi c’è la storia di Khadija che, già dall’infanzia, era stata promessa in sposa da suo padre a Mirwais. Dopo il matrimonio emersero molte differenze tra loro: Mirwais era alcolizzato, tradiva la moglie e la sottoponeva a torture fisiche e mentali. Un giorno si appropriò con la forza di tutti i gioielli di Kadija e li perse al gioco d’azzardo. Contro queste brutali oppressioni la donna non non riuscì ad ottenere giustizia dal governo dei Talebani e si uccise dandosi fuoco. Dopo l’avvento al potere dei Talebani, molte donne sono morte anche a causa della scarsità di dottori, dei divieto di essere visitate da medici di sesso maschile, della restrizione delle loro possibilità di movimento se non accompagnate da un parente maschio. Molte sono morte prematuramente o sono rimaste invalide per le privazioni e gli stenti subiti. La stragrande maggioranza delle strutture sanitarie, naturalmente, è rigorosamente riservata agli uomini e i presidi medici disponibili per le donne sono quasi del tutto assenti. “In uno dei rari ospedali femminili – denuncia Amnesty International -, un giornalista ha trovato molte donne che giacevano esanimi nei letti avvolte nel loro burqua, senza voglia di parlare, di mangiare, o di fare qualsiasi altra cosa, deperendo lentamente. Altre, impazzite, se ne stavano rannicchiato negli angoli, dondolandosi o piangendo piene di paura”.