“Nell’estate del 1922, pochi mesi prima della marcia su Roma, avveniva in Italia l’ultimo sciopero dei ferrovieri. Doveva essere parte di un movimento più generale, deciso dall’Alleanza del Lavoro per opporsi alle violenze fasciste e ritornare alla legalità. Da mesi e mesi, in tutte le regioni, le case del popolo, le sedi delle cooperative, dei municipi, erano assaltate e distrutte. Le squadre fasciste dopo le prime spedizioni in autocarro cominciavano a convergere sulle città in ferrovia, preparando con queste manovre regionali la loro marcia sulla capitale.
Lo sciopero dell’Alleanza del lavoro fu l’ultimo tentativo della massa organizzata italiana di opporsi alla sconfitta. Esso falli, parte per la maniera in cui fu condotto, parte per essere stato scatenato troppo tardi, parte per precedenti errori politici. Il fallimento si espresse anche nella scarsa partecipazione dei ferrovieri al movimento. Solo 60.000 su 220.000 scioperarono. Attraverso questo episodio, che tutti i ferrovieri un po’ anziani ricorderanno, il fascismo vinse la sua guerra; l’unica che abbia mai veramente vinto: la guerra contro il popolo italiano, la guerra contro le organizzazioni operaie. In questa guerra, i ferrovieri italiani erano stati particolari bersaglio, insieme materiale e morale.
Il disordine dei treni italiani, dovuto essenzialmente alle perdite di materiale subito durante il conflitto mondiale, aveva reso il servizio ferroviario difettoso e irregolare. Le grandi agitazioni delle masse, travagliate dal carovita, ansiose di ottenere quella società nuova che era stata loro promessa, non potevano lasciare indifferenti la grande massa dei ferrovieri italiani. Gli scioperi delle ferrovie, quasi tutti giustificati moralmente o economicamente, arrecavano disturbo al pubblico.
Mussolini e i suoi dipinsero i ferrovieri come dei coscienti sabotatori dello sforzo nazionale, come bande di oziosi avvinazzati e prepotenti, da domare col bastone. Li presentarono, di fronte all’opinione pubblica interna ed estera, come riottosi che giustificavano ogni violenza e persino la dittatura.
Appena Mussolini andò al potere fece dei “treni che arrivano in orario” la sua arma capitale di propaganda dinanzi all’estero. Quei turisti anglosassoni che oggi egli afferma di odiare e di temere come signori sfrontati, e che allora lusingava, caddero nel suo gioco. Essi plaudirono alla sconfitta della libertà italiana, giustificata con “i treni che arrivano in orario”.
In realtà i “treni” che arrivano in orario” erano solo la maschera di una brutale reazione antioperaia. I capi dell’organizzazione, liberamente eletti dai ferrovieri, furono con la violenza destituiti, o cacciati in esilio, o imprigionati. I salari scesero, il numero degli avventizi per i quali non vi è garanzia di pensione o di permanenza, che perciò sono totalmente alla discrezione della direzione, crebbe in proporzioni notevoli. Su ogni treno di passeggeri, in ogni scalo e stazione, fece la sua apparizione la milizia ferroviaria, che gettò la sua ombra gelida sulla fraternità dei lavoratori come sulla libertà dei passeggeri. Che, in un secondo tempo, tra qualcuno di questi militi si sia trovato un buon diavolo, capace anche di amicizia per i ferrovieri, non toglie nulla al proposito originale, freddo proposito di asservimento, con il quale la milizia ferroviaria è stata creata”.
Questo documento, dattiloscritto, con delle correzioni a penna, finora inedito, conservato tra le carte di Bruno Zevi (non è chiaro se sia proprio lui l’autore) custodite dall’omonima Fondazione, e che riportiamo in maniera pressoché integrale, porta la data del 25 luglio 1943. Si conclude con un appello di Giustizia e Libertà, l’organizzazione alla quale aderiva l’appassionato intellettuale, mirabile architetto, proprio ai ferrovieri affinché riprendano la lotta: “Molti di voi già fanno l’impossibile attraverso il rallentamento del lavoro attraverso il sabotaggio, vuotando il grasso dai freni dei vagoni, danneggiando le macchine. Ma è un procedimento lento, pericoloso, e che pure rallentando lo sforzo di guerra fascista, non vi rimette in libertà. GL vi dice: è già il tempo di fare di più. Degli scioperi ferroviari sono già stati possibili. Specialmente sui treni che trasportano truppe, sui treni che conducono dai distretti alle caserme i richiamati, è possibile fermare il traffico. Il canto di Bandiera rossa, il canto degli inni dei ferrovieri liberi deve essere il segnale dell’attacco. I ferrovieri italiani, liberando se stessi, possono vincere la guerra di liberazione antifascista per l’Italia e per gli oppressi di tutta Europa”.
Memorie del passato, riflessioni sul presente. La storia del sindacato è la storia della democrazia. Con buona pace di Matteo Salvini e di coloro che coltivano con truce nostalgia il mito dei “treni che arrivano in orario”. Poi c’è il ministro Lollobrigida, che i convogli, se sono in ritardo, li fa fermare per poi procedere con la sua auto blu. Lui e il suo collega dei Trasporti potrebbero proporre il ripristino della milizia ferroviaria. Così, per dare un segnale di ordine e di sicurezza. Non sanno fare altro.
Marco Cianca