Le aziende italiane non introducono abbastanza azioni concrete per trattenere i talenti, che sempre più spesso decidono di cambiare lavoro perché poco soddisfatti, desiderosi di crescere economicamente e professionalmente. Questo quello che emerge dall’indagine “Upskilling e Reskilling” realizzata da InfoJobs, la piattaforma leader in Italia per la ricerca di lavoro online, su un campione di 158 aziende e oltre 1.300 candidati.
L’indagine, realizzata per capire come sta evolvendo lo scenario del lavoro, evidenzia come, a fronte di un 48,6% di candidati non appagato dal lavoro attuale e quindi alla ricerca di nuove occasioni professionali, ci sia il 57,1% delle aziende che conferma di non aver attuato negli ultimi mesi leve per trattenerli.
Nonostante questo, le aziende sembrano avere chiaro come la perdita di un dipendente rappresenti un problema per l’azienda, per due motivi fondamentali: implica la ricerca di una nuova risorsa da formare (39,4%) e richiede una riorganizzazione del lavoro in caso di dipendente con mansioni ben precise (25,5%). La percentuale aumenta per figure chiave del business difficilmente sostituibili (30%).
Dall’indagine è emerso che i talenti evidenziano mancanza di attività volte a trattenere i dipendenti in azienda ed in effetti solo il 42,9% delle aziende intervistate afferma di essersi mosso per provare a coinvolgere e mantenere ingaggiati i talenti. Tra le varie leve utilizzate spicca con il 52,7% l’aumento di salario, seguito da lavoro ibrido e welfare aziendale entrambi parimerito con il 31%, un percorso di carriera chiaro 27,3% ed infine la formazione con il 20%. Contrariamente, le aziende che hanno deciso di non attivare leve per trattenere i talenti lo hanno fatto perché fermamente convinte della prestigiosità e ottimo ambiente di lavoro fornito 56%, mentre il 33,6% non ha abbastanza fondi per poterlo fare. Infine, il 10,3% è consapevole che una volta presa la decisione di abbandonare un’azienda nulla possa trattenere tali talenti.
Il primo viene messo in pratica da quasi il 60% delle aziende intervistate, anche se le opinioni sulla validità e sull’applicazione hanno diverse interpretazioni. Per il 24,8% di esse il reskilling è un metodo adottato per limitare il turnover ed essere più competitivi, mentre con la stessa percentuale di aziende rispondenti (17,1%) è sia un modo adottato per trattenere i dipendenti validi in caso di esternalizzazione di servizi o processi di globalizzazione che sostituiscono determinate funzioni, sia una leva che ha aumentato la sua credibilità dopo il fenomeno della “great resignation” e la richiesta diretta dei dipendenti (17,1%).
Per quanto riguarda invece il percorso di crescita in azienda, quindi l’upskilling, viene visto dalle aziende come la chiave per permettere all’azienda di essere anche in questo caso più competitiva basandosi sulla valorizzazione del dipendente (37,9%). Convinte dell’efficacia dell’upskilling sono il 28,4% delle aziende, perché valorizzare le risorse e farle crescere favorisce il maggior attaccamento all’azienda, mentre il 33,7% considera che chi vuole cambiare realtà professionale non sia disposto ad accettare questa alternativa, in quanto voglia proprio cambiare ambiente di lavoro e non solo crescere nella propria professione.
Infine, l’indagine ha voluto indagare un tema molto dibattuto, ovvero il percepito delle aziende sull’intelligenza artificiale nello scenario lavorativo. L’AI è infatti parte integrante del nostro quotidiano in fatto di tecnologia, ma come si inserisce nel mondo delle risorse umane? Sebbene per la maggior parte del campione intervistato da InfoJobs (65,4%) essa sia ancora lontana dall’ingresso in azienda, il 19,2% vede l’AI come un fattore di aiuto nella selezione, ma deve essere studiata con cura e solo così potrà manifestare tutte le potenzialità. Per il 7,7% delle aziende avere l’AI nel proprio lavoro significa snellire le procedure e far emergere il talento dell’individuo, anche se esiste una parte di aziende (7,7%) che la vive come una minaccia per molti lavori, non solo per il mondo HR.