Una riduzione della paga oraria di 3 euro, che in termini di salario netto equivale a circa 130 euro in meno in busta paga. Questa la proposta avanzata da Elecrolux ai sindacati, che ha innescato pero’ la rivolta negli stabilimenti del gruppo, nonche’ l’insurrezione di praticamente tutte le forze politiche. La multinazionale, dopo l’incontro con i rappresentanti dei lavoratori, ha cercato di minimizzare l’impatto del taglio, affermando che “ è stata anche avanzata l’ipotesi di raffreddare l’effetto inflattivo del costo del lavoro, responsabile del continuo accrescere del gap competitivo con i paesi dell’est Europa, attraverso il congelamento per un triennio degli incrementi del contratto collettivo nazionale di lavoro e degli scatti di anzianità”. L’azienda, inoltre, “ha dato piena e ovvia apertura a considerare altre forme di riduzione del costo del lavoro con minori o, se possibile, nulle conseguenze sui salari”. Ma i sindacati restano sulle barricate: fabbriche occupate e manifestazioni di protesta. La Fiom avverte che ‘’le iniziative sindacali si intensificheranno e si susseguiranno con un ritmo molto più sostenuto. Il nostro obiettivo è quello di coinvolgere direttamente la Presidenza del Consiglio e quindi di far deflagrare questa crisi ai massimi vertici istituzionali”, mentre la Uilm definisce ‘’irricevibile’’ la proposta dell’azienda, e sollecita l’intervento diretto del premier Enrico Letta. Il segretario generale, Rocco Palombella, spiega infatti che “a fronte di un sacrificio richiesto ai lavoratori l’azienda non prospetta il mantenimento dei livelli occupazionali. Electrolux è già al quinto anno consecutivo di riduzione di personale con 1.500 esuberi finora determinati con 500 di questi tuttora non ricollocati, un risultato raggiunto attraverso la riduzione dell`orario di lavoro e con l`attuazione dei contratti di solidarietà”. Quello di ieri, dunque, “è un ulteriore capitolo caratterizzato proprio da un piano rinunciatario e senza prospettive. E` illogica la riduzione salariale annunciata che inizialmente partirebbe dal 15% per arrivare al 40%. Non esiste in Europa un Paese che guardi alla ripresa contraendo le retribuzioni già esigue”. Intanto, mercoledì si aprira’ il tavolo di confronto presso il ministero dello Sviluppo, presieduto dal ministro Flavio Zanonato. Sara’ presente anche un rappresentante della presidenza del Consiglio. Alla riunione prenderanno parte l`a.d. di Electrolux Italia e responsabile di tutti i siti europei della multinazionale Ernesto Ferrario, i presidenti delle quattro Regioni interessate al futuro degli stabilimenti italiani del Gruppo svedese (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Emilia Romagna) e le organizzazioni sindacali. Tutti negativi, intanto, i commenti sulla vicenda che arrivano dal mondo politico.
Luca Zaia, presidente del Veneto, afferma: ‘’se chiude Electrolux sarebbe come se chiudesse Fiat”. Rispetto al tavolo che si aprira’ al ministero, Zaia ha spiegato: “Vorremo che la questione fosse affrontata in maniera tonica e anche muscolare, come le altre grandi vertenze nazionali”. Il governatore ha poi fatto un confronto con altre realtà europee: “Francia e Spagna, per l’elettrodomestico, hanno dichiarato la crisi di settore, bypassando le normali logiche comunitarie: si sono messi al tavolo rimboccandosi le maniche e battendo qualche pugno”. A sua volta, Maurizio Sacconi, ex ministro del lavoro del governo Berlusconi, oggi presidente dei senatori del Ncd, sottolinea che “Il management Electrolux sembra davvero avere rivolto alle organizzazioni sindacali una proposta irricevibile perché slegata da un qualsivoglia piano industriale e fondata sul presupposto della chiusura del più importante stabilimento italiano. È evidente – ha osservato – che i sacrifici possono essere richiesti solo in un clima di condivisione del futuro prima ancora che del presente perché il loro significato può essere solo quello di creare le premesse per una maggiore redditività e una corrispondente ripresa delle retribuzioni domani. La chiusura dello stabilimento di Porcia – ha aggiunto Sacconi – toglie peraltro credibilità alla sopravvivenza degli altri insediamenti, ai quali verrebbe al più concessa una sopravvivenza di pochi anni”.