Il nome stesso, Next Generation Eu, suona come un imperativo. È a loro, ai cittadini di domani, che sono destinati i fondi concessi dall’ Unione Europea. Solo ponendosi in quest’ottica, guardando al futuro, all’Italia che sarà, i 209 miliardi potranno essere utilizzati in un percorso virtuoso. Il governo dovrebbe mettere per un po’ in disparte i tanti esperti che lo attorniano, tutti bravi ma per lo più racchiusi nelle torri eburnee delle proprie specializzazioni, e aprire le porte a frotte di ragazze e ragazzi. Festosi, vocianti, curiosi. La loro voglia di vita spazzerebbe via prudenze e meschinità, miopie e calcoli di bottega. Certo, non votano, in questo caso non si può comprare il consenso elettorale con mance e promesse. Non rappresentano categorie sociali da tacitare ma il futuro da onorare.
Gli adolescenti sono sempre più rinserrati nel proprio mondo. La pandemia ha esasperato il distacco e l’isolamento. Stare per quasi tre mesi in casa non ha avuto un benefico riscontro famigliare-educativo ma, al contrario, gli effetti, per paradosso, sono quelli di una maggiore cesura con il mondo adulto del quale non si riconoscono né valori né meriti. E la chiusura della scuola, nefasta pantomima ancora in corso, ha inferto un colpo tremendo alla socialità pedagogica.
Le intemperanze, gli atti di vandalismo, le risse raccontateci in questi giorni sono indicative di una rabbia repressa e di un rifiuto di regole non accettate e non condivise. Una sorta di contestazione individualista, anarcoide, istintiva. Un ribellismo fine a sé stesso, privo di canali e mediazioni politiche, insensibile ai concetti di responsabilità e ai richiami paternalistici. Nichilismo da coronavirus.
Una generazione che rischia di essere persa. Come i loro fratelli più grandi, che non hanno prospettive, che si barcamenano tra studi poco proficui e lavoretti molto alienanti. Non hanno passioni, non propugnano ideali, non coltivano utopie, tengono segregata la fantasia. Al contrario del Candido di Voltaire pensano che questo sia il peggior mondo possibile ma non sanno come cambiarlo. Anzi, non vogliono proprio cambiarlo. Si accoccolano negli interstizi, tirano a campare, l’oggi conta sempre più del domani.
“Siamo un paese piccolo, vecchio, sconfitto e ignorante. Sempre più diviso e sempre più arrabbiato”, sentenzia Carlo Calenda nel suo libro “I mostri”. Possiamo sconfiggerli, assicura l’ex ministro dello Sviluppo Economico, se prendiamo coscienza degli errori fatti e delle potenzialità residue. Ma come facciamo a convincere e coinvolgere la Next Generation in nome della quale abbiamo chiesto e ottenuto il prestito dell’Europa?
I paesi frugali non hanno torto nel giudicarci più cicale che formiche. Il debito pubblico accumulato è l’atto d’accusa che noi stessi abbiamo stilato. Ora, per emendarci, promettiamo un serio piano di riforme. Verrebbe da ridere, o meglio da piangere, se si contassero quante volte è stata pronunciata questa formula. Tutti se ne sono riempiti la bocca, abbandonando subito i buoni propositi di fronte a pressioni, richieste, proteste, minacce. Gli interessi di parte hanno sempre prevalso su quelli della collettività.
Ora non c’è più spazio per le bugie e non c’è più tempo per i rinvii. Facciamo entrare nel Palazzo i ragazzi, gli adolescenti, i giovani. I soldi spettano a loro. Decidano come è giusto spenderli.
Marco Cianca