Cgil e Uil hanno rotto gli indugi e hanno proclamato una serie di scioperi in segno di protesta verso la manovra del governo. Per il momento territoriali, e solo in parte divisi per categoria. Poi l’8 novembre i leader delle due confederazioni terranno una conferenza stampa, presumibilmente per annunciare qualcosa di più duro, con tutta probabilità uno sciopero generale. La Cgil e la Uil, da sole, senza la Cisl. Non è una novità, sono in pratica tre anni, questo è il terzo, che queste due confederazioni decidono scioperi contro il governo di turno, lasciando fuori l’organizzazione di Luigi Sbarra.
Non che anche la Cisl non abbia motivi di protesta contro il governo, tanto che i toni, negli ultimi giorni in particolare, si sono fatti più duri a causa delle continue modifiche che l’esecutivo porta alla manovra, specie per quanto si riferisce alle pensioni, materia calda per la Cisl. Ma Sbarra resta fedele alla contrattazione, crede fermamente che restare incollati al tavolo di confronto sia il modo per ottenere dei risultati, mentre andare in piazza, a suo avviso, non produce effetti utili. Tanto più lo pensa adesso, perché la proclamazione dei primi scioperi da parte di Cgil e Uil mette in qualche modo un’arma nelle mani della Cisl: che, se gli interventi negativi del governo dovessero proseguire, potrebbe sempre raggiungere le altre organizzazioni per protestare assieme.
Il punto è che al governo di Giorgia Meloni non sembra interessare più di tanto che il sindacato, una parte o anche tutto, scioperi o scenda in piazza. Anche senza ricordare la scarsa adesione che analoghe iniziative di sciopero hanno ottenuto nelle fabbriche gli scorsi anni, per capire l’irrilevanza del gesto delle confederazioni basterebbe l’impatto che la notizia dello sciopero ha provocato nel mondo dei media. Il Corriere della sera ha dedicato all’annuncio di Landini e Bombardieri appena quattro, contate, righe all’interno di un lungo pezzo che parlava dei contenuti altalenanti della manovra. La Repubblica è stata più generosa, ha pubblicato un trafiletto, anche qui di poche righe, con una piccola foto con le bandiere del sindacato, ma sempre un trafiletto. Non c’è stato allarme, ed è risultato non essere nemmeno una notizia. È vero che questo sciopero era in qualche modo già lungamente annunciato (se ne parla da mesi), ed è vero che sono passati i tempi in cui il solo annuncio di uno sciopero generale faceva cadere i governi; ma adesso, semplicemente, non accade nulla. Il diario del lavoro, il nostro giornale, si permette scoop uno dietro l’altro, perché il mondo dei media sembra avere altre pulsioni, altri interessi che non il sindacato.
Forse proprio su questo il mondo sindacale dovrebbe riflettere, tornando a comprendere che uniti forse non si vince necessariamente, ma certo si è un po’ più forti. E magari si ottiene qualche riga in più sui grandi giornali: non che sia importante avere spazio sui media,ma la pubblica opinione ha ancora il suo peso e in questo modo sarebbe forse possibile difendere meglio gli interessi dei lavoratori, che è poi la vera mission del sindacato. Invece l’unità sindacale non sembra proprio interessare alle confederazioni, non se ne parla, non se ne tiene conto al momento delle decisioni, quelle grandi, ma anche quelle piccole piccole.
Il ricordo allora va all’indimenticabile comizio che Luciano Lama tenne a piazza San Giovanni subito dopo la rottura storica del sindacato confederale per il patto di San Valentino nel 1984. Lama, che aveva tutti i motivi per accendere gli animi dei militanti Cgil sulle ragioni che avevano condotto a rompere con Cisl e Uil, parlò solo della necessità di ricucire le divisioni, dell’importanza dell’unità sindacale, che era stata messa a dura prova ed era caduta, ma che occorreva ricostruire quanto prima. Perché -disse allora Lama, ma è cosa nota- uniti si vince, divisi si diventa deboli, facili prede dei nemici. Il sindacato nasce proprio perché i lavoratori da soli non hanno il potere di contrastare il padrone. Unendosi acquistano la forza per combattere e se esistono più sindacati la loro forza aumenta nel momento in cui si alleano. Così è sempre stato.
In questa difficile congiuntura emerge ancora più forte la trasformazione che la Uil ha subito negli ultimi anni, praticamente da quando Bombardieri è arrivato alla segreteria generale. Questa confederazione ha infatti assunto un piglio barricadiero che poco le si addice, considerando la sua storia. Dai tempi di Giorgio Benvenuto la Uil non è mai stata tenera con i suoi interlocutori, e del resto lui è stato uno dei leader usciti vincitori dall’autunno caldo del 1969 e ha sempre avuto la battaglia tra le sue opzioni. Ma la Uil è anche sempre stata attenta agli equilibri generali, non a caso tradizionalmente accanto alla Cisl quando il mondo sindacale viveva un momento di divergenze tra i gruppi dirigenti. Con Benvenuto, ma poi anche con Pietro Larizza e Luigi Angeletti, la Uil è sempre stata attenta a mantenere unito il mondo sindacale. Perché quei leader sapevano bene che occorre stare assieme per essere più forti, ma anche, se non soprattutto, che è nell’unità che la Uil acquista un ruolo preciso e di peso: quando resta l’ago della bilancia degli equilibri generali.
Tutto ciò sembra oggi essere stato messo da parte. Al prezzo, però, di una perdita di peso specifico da parte della Uil: perché è indubbio che se questa confederazione e la Cgil si pongono unite contro il governo, l’attenzione dei decisori, grandi o piccoli che siano, sarà tutta o quasi per la Cgil, e la seconda confederazione cadrebbe inevitabilmente in un cono d’ombra. Ed è quello che sta accadendo.
Massimo Mascini