Da sabato 6 maggio, la protesta dei sindacati contro il governo ha fatto un salto di qualità. Seguendo la ‘scaletta’ annunciata due mesi fa, e concluso il primo ciclo di assemblee nei luoghi di lavoro, si e’ passati allo step successivo, la piazza. Una piazza che per il momento sarà “a rate”: sabato 6 maggio la manifestazione a Bologna, poi, a seguire, il 13 a Milano, per concludere a Napoli, il 20 maggio. Dopodiché si deciderà come andare avanti: forse una manifestazione nazionale a Roma, forse qualcos’altro per allargare ulteriormente il consenso sulla piattaforma, ma in ogni caso prima della conclusione di Napoli le tre confederazioni annunceranno le nuove iniziative. Rigorosamente unitarie.
Il dato più notevole, infatti, è proprio questo: malgrado tutto, Landini, Bombardieri e Sbarra stanno mantenendo dritta la barra dell’unità. Almeno per ora. Al di la della diversa intonazione nelle dichiarazioni dei leader di Cgil e della Cisl nei confronti del governo – più tranchant il primo, più dialogante il secondo – resta infatti che fin qui tutte le decisioni sono state prese insieme. E messe anche per iscritto: unitaria è la piattaforma diffusa nei giorni scorsi, la base su cui poggia la mobilitazione, e unitaria è stata anche l’audizione di giovedì alla Camera sulla delega fiscale, bocciata all’unisono dai tre confederali, come evidenzia la nota tri-firmata depositata al parlamento (gli abbonati al Diario possono leggere entrambi i testi integrali nella sezione Documentazione). Altrettanto unitaria è l’Assemblea nazionale, con successiva mobilitazione, annunciata dai sindacati dei pensionati di Cgil Cisl e Uil a metà giugno, per protestare contro l’assenza di qualunque traccia di riforma previdenziale nell’agenda del governo. Ma anche su questioni meno cruciali si conferma l’identità di vedute: unitario, per dire, è anche il comunicato emesso da Cgil, Cisl e Uil di Roma e Lazio che stigmatizza la mancata nomina, da parte del consiglio dei ministri, del prefetto della Capitale, vacante ormai da due mesi.
Non è poca cosa che i tre sindacati riescano a parlare all’unisono, dopo tante tensioni. La svolta si potrebbe dire sia arrivata al congresso della Cgil, quando Landini si appellò a Sbarra e Bombardieri invitandoli a tornare a lavorare assieme, e i due colleghi, dallo stesso palco di Rimini, risposero affermativamente. Ma non molti avrebbero scommesso sul fatto che si riuscisse effettivamente a mantenere il clima unitario. Certo il governo aiuta parecchio: nessuna delle istanze dei sindacati è stata presa in reale considerazione, a partire dalla richiesta di un confronto vero sui temi del lavoro, del fisco, delle pensioni.
La stessa convocazione a Palazzo Chigi nella serata precedente al primo maggio, per comunicare le decisioni già prese sul decreto lavoro che il consiglio dei ministri avrebbe varato la mattina dopo, è stata considerata un po’ una presa in giro; e se pure il tono dei commenti della Cisl sul taglio del cuneo appare meno duro rispetto alla Cgil, apprezzando Sbarra lo sforzo del governo, non è che a Via Po non sia chiaro che il “più grande taglio fiscale del globo terracqueo” in realtà ammonta a circa la metà di quanto dichiarato dal governo, e per di più limitato a sei mesi. Con la preoccupazione sottostante di immaginare cosa farà l’esecutivo quando, a fronte della scadenza del bonus, e a pochi mesi dalle elezioni europee, si porrà il problema di rinnovarlo e con quali risorse, cioè tagliando dove, cosa: la sanità, per esempio, o peggio. Poi, certo, se quei tavoli di confronto tanto agognati dovessero davvero aprirsi, le cose potrebbero cambiare. Ma per ora non si vede all’orizzonte questa opzione, a meno di non considerare “tavolo” la convocazione di Matteo Salvini alle Infrastrutture e Trasporti per il 10 maggio, iniziativa che in verità un po’ ricorda quella, assai irrituale, dello stesso Salvini nel 2019, ai tempi del Conte gialloverde.
A sua volta Landini evita di dire cose che possano alzare la tensione; per esempio, pur costantemente (e abbastanza ossessivamente, aggiungerei) interpellato dai media sul tema “sciopero generale”, il segretario si limita a dire di non escludere nulla, precisando che quella dello sciopero è una decisione grave, da prendere con cautela e in un tempo che non appare certo immediato. Massima prudenza, insomma; da un lato sapendo che la Cisl su questo terreno è assai restia, ma anche ben consapevole che uno sciopero generale va costruito con cura, non buttato li a casaccio. La mobilitazione, è la convinzione di Landini, deve crescere nel tempo, coinvolgere lavoratori, associazioni, cittadini, mondo laico e cattolico, deve essere, per dirla con le parole che risuonano costantemente in questi giorni a Corso Italia, “permanente, graduale, progressiva”, e soprattutto finalizzata a portare a casa un risultato concreto. Tanto più di fronte a un governo che, si presume, durerà a lungo, e dunque richiederà al sindacato una capacità di resistenza altrettanto tenace. Ovviamente, se nessun risultato arrivasse dopo una lunga mobilitazione, dopo assemblee, piazze, piazze più grandi, eccetera, si penserà anche allo sciopero, sperando che anche in quel caso l’unità tenga. Ma non è un problema di oggi. Oggi il tema è mantenere il sindacato unito, far si che le piazze di Bologna, Milano e Napoli siano un successo, e poi decidere, possibilmente sempre assieme, come andare avanti.
Intanto, un primo effetto l’iniziativa di Cgil, Cisl e Uil l’ha ottenuto: i partiti della sinistra fanno a gara per annunciare la loro partecipazione alle tre piazze sindacali. Un’attenzione non si sa quanto desiderata, o apprezzata, o tanto meno sollecitata (ma sicuramente non nuova: per tradizione esponenti della sinistra partecipano, e mai sul palco, alle manifestazioni di Cgil, Cisl e Uil), che dimostra plasticamente come, a fronte delle divisioni dell’opposizione, mai cosi frammentata, la compattezza che stanno dimostrando i sindacati possa diventare un polo di attrazione potente.
Nunzia Penelope