Il sindacato è autonomo dai padroni, dai partiti e dai governi. E’ la giaculatoria politicamente corretta di un sindacalista. A questo sostantivo dobbiamo aggiungere l’aggettivo “italiano”. Perché a un collega inglese, tedesco e svedese – anche americano – non verrebbe mai in mente di prendere le distanze dai partiti di sinistra del suo Paese con i quali esiste un rapporto che potremmo definire genetico. Oggi i legami tra sindacati e partiti si sono allentati un po’ dappertutto, ma non fino al punto di rinnegare le tradizionali parentele e i rapporti biunivoci anche a livello dello scambio dei gruppi dirigenti. In Italia, la recita della giaculatoria è stata la condizione necessaria (anche se non sufficiente) per consentire, in nome dell’autonomia, il dialogo e la collaborazione tra organizzazioni sindacali che facevano riferimento a culture e partiti diversi, in conflitto tra loro nelle istituzioni e nella società. Questo primo comandamento ha delle conseguenze pratiche, perché i sindacati sono degli interlocutori dei governi, i quali sono formati da partiti che non coprono quasi mai tutta la platea di rappresentanza ideale/politica di un sindacalismo pluralista.
Ne consegue un secondo comandamento del “politicamente corretto”: i governi si giudicano sulla base delle loro azioni. Poi che nei comportamenti pratici i sindacati si attengano a questo principio non è quasi mai vero; ma nessun leader sindacale ammetterà mai di chiamare i lavoratori a scioperare perché il governo in carica non è “amico” a causa della sua natura politica. Un sindacato dispone di una uscita di sicurezza che non viola formalmente le regole dell’autonomia: può esprimere e mantenere un dissenso di merito – anche in contrapposizione con le altre organizzazioni – sulle proposte di un governo che non sia in sintonia con le forze politiche più vicine. Questo telaio dei rapporti tra partiti e sindacati è in larga misura superato. Le “cinghie di trasmissione” del passato si sono messe a funzionare in senso contrario. Anche sul piano politico, i sindacati agiscono in proprio. Basti pensare alla guerra condotta dalla Cgil, spesso da sola, contro i governi Berlusconi, rispetto a un atteggiamento più dialogante con gli esecutivi di centro-sinistra. Ricordo che Guglielmo Epifani, nella relazione a un Congresso della Cgil, auspicava che, dalle elezioni, uscisse un Governo di centro-sinistra al quale egli offriva un patto “non di cento ma di mille giorni”.
Al leader sindacale (ora scomparso) rispose, seduta stante, il candidato Romano Prodi, il cui laborioso programma elettorale era molto simile alle Tesi della confederazione di Corso Italia. Ancora più diretta fu la dichiarazione compiaciuta (“E’ la Finanziaria che volevamo”) del segretario della Cgil sulla manovra di bilancio per il 2007. L’allora ministro del Lavoro Cesare Damiano raggiunse con i sindacati un accordo su lavoro e pensioni che la Cgil sottoscrisse solo perché Prodi minacciò le dimissioni. Anni dopo fu Maurizio Landini, allora leader combattivo della Fiom, a fondare “Coesione sociale” , la “cosa blu” appartenente al novero dei movimenti intenzionati ad andare oltre la rappresentanza degli interessi dei lavoratori, per abbracciare e sostenere tematiche generali e trasversali (a partire proprio dall’alleanza con quelle istanze che si opponevano allora ai cambiamenti istituzionali e politici portati avanti dal Governo Renzi). Se non un partito la “cosa blu” voleva essere un soggetto politico. L’iniziativa abortì in breve, ma Landini ha sempre coltivato questa chimera, fino alla chiamata della Cgil (<Il Lavoro interroga>) ai partiti di centro-sinistra e dell’ultrasinistra all’Acquario Romano lo scorso 1° luglio, poche settimane prima che cadesse quel governo Draghi contro il quale, il 16 dicembre 2021, la Cgil aveva proclamato, insieme alla Uil, lo sciopero generale più strambo della storia. Un sindacato che, in luglio, aveva promosso un incontro con quell’impostazione e quegli inviti – che selezionavano i partiti con cui dialogare e ne escludevano altri – non poteva dichiararsi indifferente riguardo al quadro politico che sarebbe scaturito dalle elezioni (che si sarebbero svolte comunque in tempi ravvicinati), dal momento che intendeva concorrere, in prima persona, ad un’alleanza “progressista”. Poi, è arrivato il “contrordine compagni!”. All’Assemblea dei delegati a Bologna, con la campagna elettorale già in corso, Landini ha lasciato di stucco tutti gli osservatori, per i toni di equidistanza/indifferenza riservati all’esito che si stava profilando in modo sempre più chiaro. “Negli ultimi anni – così parlò Zaratustra – il mondo del lavoro, le lavoratrici e i lavoratori, i precari, i giovani non sono stati ascoltati. E addirittura le politiche fatte, in molti casi sia da governi di destra sia da governi che si richiamavano alla sinistra, hanno peggiorato la condizione di vita e di lavoro delle persone’’.
Pertanto la Cgil non avrebbe avuto posizioni pregiudiziali nei confronti di un governo di destra. Ovviamente – come già anticipato – rientra nei canoni ordinari che un sindacato si confronti con il governo in carica. Ma che bisogno c’è di ripetere questo proposito ad ogni piè sospinto, come se si volesse sottolinearne il significato inedito? Tale insistenza assume inevitabilmente un valore politico, assicura ad un probabile esecutivo, di cui non si conosce nulla, una legittimazione sociale (questa sì “pregiudiziale”) che, nella storia recente, non è mai stata riconosciuta a nessun governo di centrodestra. Silvio Berlusconi, quando vinceva le elezioni, doveva sempre fare i conti con la rivincita sindacale (della Cgil in primis) della sconfitta della sinistra. “Il lavoro fa delle proposte all’Italia e all’Europa. E avevamo detto – continua a ribadire il segretario della Cgil – che ci saremmo confrontati con qualsiasi governo ci sarebbe stato. Il sindacato non cambia idea a secondo del quadro politico che c’è. Noi dobbiamo dare risposte ai lavoratori, giovani e pensionati, cambiando leggi e politiche sbagliate”. Evidentemente i sindacati confidano nei programmi dei partiti di destra che spesso scopiazzano le loro proposte, offrendo loro in cambio una promessa di non belligeranza. Resta comunque un interrogativo che non trova risposta: che cosa è successo in questo Paese se, su molti aspetti importanti delle politiche sociali, i sindacati si sentono più garantiti dalle destre? Vengono in mente le parole del sottotenente Alberto Innocenzi, nel film “Tutti a casa”, quando, l’8 settembre 1943, avverte al telefono il Comando che “i tedeschi si sono alleati con gli americani”.
Giuliano Cazzola