Federmeccanica ha presentato la sua nuova proposta. Una mossa dovuta per far uscire il negoziato per il rinnovo del contratto nazionale dalle secche nelle quali si trovava. E infatti, nonostante questa proposta non abbia convinto le controparti, tutti hanno concordato sul fatto che adesso un negoziato vero può cominciare. Prevedendo tempi lunghi, anche se non eterni, perché le difficoltà sono tante e non sarà facile superarle.
Ma per capire la portata della nuova avance degli industriali metalmeccanici occorre partire da un presupposto preciso: questa nuova proposta non è un capovolgimento della posizione assunta fin dall’inizio da Federmeccanica. Ne è al contrario la continuazione, si potrebbe dire la necessaria conseguenza. Gli imprenditori del settore non hanno infatti assolutamente rinunciato agli obiettivi che si sono dati, hanno solo preso atto delle difficoltà, delle resistenze che hanno incontrato nelle controparti e per andare avanti hanno rallentato l’iter della trasformazione che si erano inizialmente dati.
Gli industriali di questo tormentato settore (in sette anni è sparito il 30% della produzione e 360mila posti di lavoro) hanno sempre detto di voler mantenere in vita il contratto nazionale, esigenza in un settore frantumato in tantissime piccole e micro aziende, ma di volerlo cambiare sostanzialmente. In particolare avevano proposto di riservare gli aumenti salariali a coloro che avevano un salario inferiore a un minimo, lasciando alla contrattazione aziendale il compito di distribuire i benefici della crescita (possibile, ma non certa) della produttività. Insomma, avevano pensato di abbandonare una volta per tutte gli aumenti salariali tabellari volti a recuperare l’inflazione.
Questo volevano e questo vogliono tuttora. La nuova proposta infatti non cambia le carte in tavola. Solo prende atto che i sindacati non possono accettare un rinnovo contrattuale che non preveda un aumento salariale per tutti e quindi cancella la proposta del minimo vitale al di sopra del quale non sono previsti aumenti salariali se non nelle sedi aziendali e quindi legati a crescita della produttività (e magari anche della redditività). Ma l’obiettivo è solo rinviato, tanto è vero che il recupero dell’inflazione non è previsto integralmente per tutti gli anni di vigenza contrattuale, ma in maniera decrescente: al 100% il primo anno, al 75% il secondo, solo al 50% l’anno successivo. Il che fa credere che questo décalage potrebbe continuare, fino a far sparire del tutto gli aumenti salariali tesi a recuperare l’inflazione. Come, appunto, gli imprenditori metalmeccanici volevano fin dall’inizio.
Insomma, continuità della strategia, fatta salva la necessità di adeguare la trasformazione al grado di accettabilità del nuovo. E la domanda che ci si pone è proprio questa, saranno in grado i sindacati della categoria di accettare questa nuova versione o la battaglia continuerà più forte di prima? Più forte perché i sindacalisti potrebbero pensare che se la loro pressione ha ridotto l’entità del cambiamento voluto da Federmeccanica, andando avanti con gli scioperi e il blocco degli straordinari potrebbero eliminare del tutto le velleità di trasformazione degli imprenditori.
E’ difficile capire cosa faranno i sindacalisti. Anche loro sanno bene che i tempi cambiano, che certe realtà non esistono più, che un adeguamento a volte è necessario. Il problema è fino a che punto questa consapevolezza arrivi e dove comincia la terra ignota (l’hic sunt leones) della resistenza a tutti i costi e a dispetto di tutti. Certo, si fa un gran parlare di Industry 4.0, della necessità di adeguarsi a questo cambiamento, che non interverrà solo sulle macchine, ma principalmente sugli uomini; ma poi i cambiamenti bisogna volerli davvero e spendersi, anche personalmente, per realizzarli. Altrimenti è solo un gran vociare, chiedere al governo qualche sconto fiscale, ma lasciare le cose come stanno. A volte bisogna saper crescere. Ma non solo nelle cifre del Pil.
Massimo Mascini