Di Potenti, l’omonimo senatore leghista (di nome Manfredi) che ha presentato il ddl sui nomi femminili, ha giusto il nome. L’assurdità della proposta non andrebbe nemmeno commentata ed è una trappola soffermarvisi, ma l’occasione (ennesima) offerta da questo esecutivo è troppo golosa. No a termini come sindaca, questora, avvocatessa e anche rettrice negli atti pubblici e per chi sgarra una multa fino a 5mila euro. ‘Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere’ è il nome di questo lungimirante disegno di legge, con l’obiettivo di “preservare l’integrità della lingua italiana ed in particolare, evitare l’impropria modificazione dei titoli pubblici dai tentativi ‘simbolici’ di adattarne la loro definizione alle diverse sensibilità del tempo”. O meglio: di salvare questo “mondo al contrario” che l’eurodeputato Roberto Vannacci ha disvelato una volta per tutte. Un po’ come la proposta del muscolare Fabio Rampelli, che l’anno scorso ha avviato una crociata contro l’anglicizzazione della pubblica amministrazione sempre “in un’ottica di salvaguardia nazionale e di difesa identitaria” e addirittura istituendo la un Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana. Per i trasgressori, in questo caso, la multa arriva fino a 100mila euro.
Tornando al Potenti(issimo) Act (Rampelli non se ne abbia per questa licenza), che sembra o si spera sia l’ennesima provocazione in una chat di calcetto che alla fine non fa ridere nessuno, all’articolo 2 della bozza visionata dall’agenzia AdnKronos si prevede che “in qualsiasi atto o documento emanato da Enti pubblici o da altri enti finanziati con fondi pubblici o comunque destinati alla pubblica utilità, è fatto divieto del genere femminile per neologismi applicati ai titoli istituzionali dello Stato, ai gradi militari, ai titoli professionali, alle onorificenze, ed agli incarichi individuati da atti aventi forza di legge”. All’articolo 3, poi, si precisa il “divieto del ricorso discrezionale al femminile o sovraesteso od a qualsiasi sperimentazione linguistica”, ricordando che “è ammesso l’uso della doppia forma od il maschile universale, da intendersi in senso neutro e senza alcuna connotazione sessista”. Quindi attenzione, precisa Potenti: non è in discussione “la legittima battaglia per la parità di genere”, ma grazie a questo ddl si vogliono solo contenere “eccessi non rispettosi delle istituzioni”. Attraverso il maschile universale. In questa epoca di fluidità, dunque, donne, uomini: non si vuole offendere nessuno. Anzi: riflettete sulla vostra protervia nel volervi sentire chiamare al maschile o al femminile, ma anche su quella della grammatica italiana che ammette la concordanza delle professioni.
Coprirsi di ridicolo è un mestiere, si sa, ma a tutto c’è un limite. Fonti della Lega, infatti, precisano “che la proposta di legge del senatore Manfredi Potenti è un’iniziativa del tutto personale. I vertici del partito, a partire dal capogruppo al Senato Massimiliano Romeo, non condividono quanto riportato nel Ddl Potenti il cui testo non rispecchia in alcun modo la linea della Lega che ne ha già chiesto il ritiro immediato”. Figuriamoci. Riconosciuta quindi l’assurdità, questo abrade in partenza le proteste non solo delle opposizioni, ma anche dell’Accademia della Crusca che da anni, ormai, spende fiato sulla battaglia della concordanza, relegando la questione a fattarello di cronaca. Ma nonostante tutto, e considerato anche il precedente rampelliano, la “potentissima” proposta misura la temperatura delle idee che circolano in parlamento – che poi, fosse questo il problema, non è che una goccia nel mare. Quelle stesse idee, però, che sono valse al generalissimo un seggio all’europarlamento, tanto per citare il fatto più recente, e che sono state respinte addirittura dai Patrioti. Che sono destrissimi, ma mica scemi.
Elettra Raffaela Melucci