Saranno stati i ballottaggi che ha decisamente perduto, sarà stata l’Europa che l’ha snobbata nella partita delle nomine apicali, sarà stata l’opposizione che non perde occasione per metterla in contraddizione con sé stessa (sull’autonomia differenziata per esempio), sarà stato quel che è stato, fatto sta che la premier è sull’orlo di una crisi di nervi. Anzi, ormai l’orlo l’ha anche superato.
Lo dimostrano alcuni fatti avvenuti recentemente: il suo monologo in cui si guarda bene dal commentare il risultato dei ballottaggi, i suoi discorsi pubblici in cui attacca ferocemente la sinistra, accusandola di volerla vedere “a testa in giù”, la sua furia incontrollata contro l’Europa che non prende in considerazione i risultati elettorali (cioè il suo) e decide senza consultarla. Oltre ad altri episodi come l’inchiesta di Fanpage sui giovani Fratellini d’Italia che inneggiano al Duce e a Hitler e si scagliano contro gli ebrei, su cui la premier non ha proferito parola e che certamente contribuiscono a mostrare che quella sicurezza finora ostentata da Giorgia Meloni in quasi tutte le sedi della politica interna ed estera stia vacillando. Non a caso quell’inchiesta ha provocato le dimissioni di due dirigenti del movimento giovanile, la reazione del ministro Guido Crosetto: “Nel partito che ho cofondato non c’è spazio per tali persone”, e addirittura quella di Ignazio La Russa, che il fascismo non l’ha mai rinnegato: “Frasi inaccettabili”.
Evidentemente Meloni deve essersi resa conto che il trionfo da lei celebrato nelle elezioni europee tanto trionfo non era: in fondo i suoi Fratelli d’Italia hanno perso parecchi voti assoluti (pur crescendo in percentuale grazie alla forte astensione) e i suoi due alleati di governo rimangono al di sotto del 10 per cento dei consensi. Inoltre mettiamoci pure l’intervista di Marina Berlusconi al “Corriere della Sera”, in cui dice che su alcuni temi – cioè i diritti civili – lei si sente più vicina alla sinistra che alla destra, aggiungiamoci pure il Vaticano che ha fatto sapere in vari modi – l’ultimo è stato “Famiglia cristiana – che le riforme del governo non funzionano, ed ecco spiegate le ragioni del nervosismo meloniano.
Un nervosismo che non le passerà tanto rapidamente, viste le prossime tappe della politica: in particolare le elezioni regionali in autunno in Emilia Romagna e in Umbria e soprattutto il problema del nostro bilancio già messo sotto tiro dalla Commissione europea. E qui si prevede una difficilissima legge finanziaria, che dovrà necessariamente essere all’insegna dei tagli e non delle elargizioni, dunque non aiuterà il governo nella sua spasmodica ricerca del consenso popolare. Chissà se questo autunno sarà di nuovo caldo?
Dipenderà dalle opposizioni, quelle organizzate nei partiti e quelle della società civile, e ovviamente dai sindacati. Toccherà a loro dimostrare che un’alternativa a questo governo è possibile, come spesso ripete Elly Schlein, ma il rischio è che al sole dell’estate il centrosinistra si squagli come neve al sole, dimenticandosi in poche settimane che aveva vinto i ballottaggi, che alle europee aveva avuto un buon risultato (almeno il Pd e Avs) e che, insomma, l’invincibile armada meloniana tanto invincibile non è. Se però, come è accaduto spesso in passato, la sinistra perderà di nuovo sé stessa, lasciandosi logorare in piccole lotte di potere e di visibilità, nelle guerriglie tra correnti, in quelle per decidere chi dovrà essere il federatore, e quindi il candidato premier alle prossime elezioni politiche, allora la partita sarà finita ancora prima che cominci, con tanti auguri di lunga vita a Giorgia. Ma come dice un vecchio adagio, la speranza è l’ultima a morire. Peccato che spesso e volentieri sia morta pure lei.
Riccardo Barenghi